Michele Dallapiccola
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Michele Dallapiccola

Michele Dallapiccola

Arrivano i nostri! Ma il tifo delle parti sociali per il governo in carica è proprio una novità.

Da Michele Dallapiccola 19 Febbraio 2022

Dalla mia precedente esperienza in giunta provinciale porto con me un ottimo ricordo di collaborazione con le cd. “parti sociali”.

I rappresentanti di istituzioni, professioni, imprese, pubbliche amministrazioni, organizzazioni e associazioni di categoria sono da sempre una risorsa per chi governa. Con loro si concordano provvedimenti e si accolgono o respingono critiche. La direzione normalmente è “centripeta”, perché è il governo politico a trovarsi al centro del percorso di scelte e provvedimenti. 

Per questi motivi – a mio parere – nei giorni scorsi ha incuriosito non poco la presa di posizione di una delle più grosse associazioni provinciali d’impresa. In un gesto visto poche volte nella storia (a mia memoria mai) è uscita sulla stampa in soccorso del governo provinciale. E’ anche vero che un membro di giunta provinciale è anche un loro associato. Vien da chiedersi se non sia stata percepita una sua debolezza politica verso la quale il suo presidente ha sentito il bisogno di correre in soccorso?

Due fatti curiosi

La prima delle uscite riguarda un intervento di sostegno all’iniziativa del Concerto di Vasco Rossi. Evento al quale la giunta pare credere con particolare vigore. Eppure, sommersi dalle critiche hanno ricevuto soccorso dall’associazione in parola. Snocciolando cifre e numeri figli di un ottimismo post pandemia mai visto prima, si son lanciati ad annunciare inimmaginabili guadagni. Per tutti!

I conti si faranno alla fine, ma cosa porti un evento del genere lo si può già immaginare. A Campovolo qualche anno fa, ad esempio, con il doppio delle persone di qui, pare che le entrate a consuntivo siano state molto meno della metà che qui viene stimata/sperata.

Eppure, qualcuno che guadagnerà sicuramente c’è: lo staff del famosissimo artista. Con una Provincia che si è assunta tutti i rischi di impresa e che pagherà (lautamente) tutto pare che stiano proprio dormendo sonni tranquilli. Intanto l’aspetto di San Vincenzo per ora più che ad una Arena musicale pare assomigli ad una discarica di inerti. 

La seconda uscita stampa interessante, ha riguardato l’invettiva verso una malcapitata APT. Rea di voler mantenere con orgoglio un propria indipendenza al punto da aver ricevuto importanti finanziamenti da aziende private del posto, proprio come è accaduto ad esempio a Rovereto.  

Parliamo della Val di Non. Già qualche giorno fa la stessa APT era stata oggetto di pesanti critiche dal presidente dell’APT, vicina: l’armonizzante. Si perché la fusione di turno con relativo smembramento, la lega nella sua riforma del turismo la nomina con questo eufemismo; armonizzazione.

E son sempre gli armonizzatori, ad addurre come motivazione l’insoddisfazione di alcune imprese turistiche dell’Alta Valle da sempre critiche contro il sistema. Posso testimoniare che parliamo di stimatissime aziende che sono però afflitte da una lunga tradizione di insofferenza. Non hanno mai accettato, nemmeno nella scorsa legislatura, nemmeno attraverso proposte di favoritismo locale dalla politica provinciale che ha più volte cercato insieme agli amministratori locali di trovare un punto di incontro.

Per fortuna si tratta di imprese e di una zona che hanno da sempre saputo comunque valorizzare in proprio le loro peculiarità. Tirarle di mezzo oggi e così, sa proprio di strumentale. Anche perché se è vero che i problemi ci sono e si deve cercare di risolverli, ciò non accade certo con armonizzazioni imposte dai palazzi provinciali o, peggio, riorganizzando tutto da Malè anziché da Cles.

Fortunatamente le persone in Val di Non sono sostenute dallo stesso orgoglio che in Vallagarina ha permesso all’APT di rimanere indipendente. E’ grazie a questa rinomata forza d’animo che sapranno trovare le miglior soluzione per il loro futuro. Insieme agli armonizzatori.

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Tipicità, innovazione e diversificazione. Tre ingredienti anticrisi anche per il mercato lattiero-caseario. Basteranno a fronteggiare la crisi?

Da Michele Dallapiccola 18 Febbraio 2022

Crisi delle imprese e caro energia toccano tutti. Se la marginalità aziendale parte già ridotta di suo, la cosa pesa ancora di più.

Le aziende zootecniche ne sanno qualcosa. Non ha mai avuto vita facile, chi alleva allo scopo di produrre carne e latte. E’ paradossale pensare quanto poco ripaghi produrre alimenti così nobili. Eppure è così. 

E proprio adesso che la PAC da qualche anno, ha cominciato davvero a ripianare le spese e a farsi sentire in positivo sui bilanci aziendali, arriva una delle peggiori crisi da aumento dei costi che l’uomo ricordi dal dopoguerra. Come uscirne? 

Poche le ricette. 

Tra tutte, caratterizzare e diversificare il prodotto può essere una soluzione. La galassia Concast, coordina la produzione dei 17 caseifici trentini. Alla cui capacità di impresa e bravura dei propri casari, è lasciato il compito di distinguersi e farsi avanti col mercato locale, specie se turistico.

Il Caseificio Sociale di Cavalese ne è un ottimo esempio. Con oltre 40 referenze diverse produce tanti tipi di prodotti caseari quanti sono i modelli di jeans della Levis. Impossibile per un consumatore non trovarne uno che non gli vada bene. E in una valle turistica interpretare tipicità e novità assume significati particolarmente trasversali. 

Sarà sufficiente a proteggere la zootecnia di montagna dalla crisi? Aiuta ma non sarà sicuramente risolutivo. Fin quando questa Provincia non punterà fortemente su azioni di marketing congiunte e coordinate dalla nostra società di sistema della promozione, sarà difficile per i nostri allevatori lavorare in serenità.

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Fondi PNRR: finanziamenti a pioggia o riproposizione della “magnadora”?

Da Michele Dallapiccola 18 Febbraio 2022

Ci saremmo aspettati di veder dedicato qualcosa di più al nostro Trentino.

Dopo i sacrifici provocati dalla Spending Review degli anni ‘10 avremmo potuto recuperare il gap rispetto ad una storia di florida finanza provinciale. Questo, grazie alla più grossa opportunità che l’Europa abbia mai dato agli Stati membri. I 230 miliardi tradotti da Bruxelles nel Piano Nazionale Resilienza e Resistenza in quota parte avrebbero potuto offrire un grande slancio anche alla nostra provincia. 

Sulla base di un presupposto errato promosso dalla lega in fase di presentazione, lo scorso anno si era parlato di 2 miliardi a disposizione della nostra Provincia. Non è mai stato così.

Innanzitutto da parte della giunta provinciale c’è stata troppa leggerezza nel considerare il montante complessivo sul quale si effettuava il riparto. 

In secondo ordine va considerato che l’investimento principale non sembra intercettato quanto piuttosto calato dall’alto.

Prendere o lasciare

 Lo Stato chiedeva opere cantierabili e con ogni probabilità è questo il motivo a causa del quale quasi un miliardo di € è finito sotto terra.

 Il bypass di Trento aveva il qualificante merito di essere già progettato. E la sfortuna di dover partire subito. Questo ha provocato che tutta la parte di condivisione del progetto con la popolazione ha dovuto subire un’accelerazione improvvisa. E’ un fatto che non ha certo fatto bene all’accettazione sociale dell’opera. 

Quanto al resto dei finanziamenti, preoccupa la possibile teorica ingerenza della giunta provinciale. Qualche sindaco lo ha già segnalato. C’è il timore che la politica dei partiti si possa sostituire ad un normale e sano compito di indirizzo e di riequilibrio delle risorse.

Criticavano la magnadora di Grisenti, ora che sono al potere, (per altro col suo aiuto) finiranno per ricreare lo stesso tipo di ingiustizie? 

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La Provincia prosegue col metodo del “divide et impera”. Questa volta è toccato alle api

Da Michele Dallapiccola 16 Febbraio 2022

Poteva passare sotto tono lo strappo della politica con un ambito zootecnico piuttosto circoscritto ma non per questo poco importante: l’Apicoltura. 

Che fosse un mondo col quale non è facile individuare un punto di convergenza lo posso testimoniare per la mia diretta esperienza.

E me ne assumo le giuste responsabilità di ex amministratore. Toccai con mano nella veste di assessore, quanto fosse policomposito e variegato, nella sua sostanza, il comparto del quale stiamo parlando.

Formato da professionisti ed hobbisti portatori di esigenze diverse, ha sempre fatto fatica a farsi capire fino in fondo dalla politica.

Il protocollo firmato l’altro giorno (QUI IL LINK DELLA NOTIZIA) tra Provincia ed imprese, sembrava quasi la quadratura del cerchio. Sembrava. Era invece un tentativo di mascherare un accordo bilaterale basando la narrazione su un equivoco di fondo. L’Associazione apicoltori trentini rappresenta una realtà legata prevalentemente al capoluogo e dintorni rispetto alla loro Federazione ben più rappresentativa dell’intero territorio provinciale. I soggetti coinvolti, avrebbero potuto fare uno sforzo di coinvolgimento in più, soprattutto perchè, le rimostranze arrivano da un gruppo di persone stimate e preparate. Avrebbe forse potuto fare qualcosa la giunta provinciale. Ma anche stavolta l’acuto nel coro non si è proprio sentito. Peccato. E peccato anche che ad andarci di mezzo è il mondo dei frutticoltori che delle api hanno un vitale bisogno. 

Ancora una volta la dimostrazione che i (pur benvenuti) contributi per riparare ai danni da stagione avversa a nulla servono se non adeguatamente accompagnati da un opportuno lavoro di intelligence politica. Ciò del quale hanno bisogno i settori in crisi è unità e collaborazione. Fatti che si possono verificare solo con un’intensa attività di mediazione e collaborazione con le imprese.

In videoconferenza o per decreto a cose fatte, sarà difficile riuscire a rimediare.

Attraverso un’interrogazione, chiederemo alla giunta provinciale quali saranno le iniziative che intenderà intraprendere al fine di coinvolgere anche la Federazione delle associazioni apistiche nelle prossime decisioni od iniziative che riguardino il settore.

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Mancano poco più di 100 giorni all’alpeggio e ancora nessuna novità.

Da Michele Dallapiccola 15 Febbraio 2022

Ovviamente mi riferisco alla questione lupo.

Me lo ha ricordato oggi un mio amico pastore. Sta aspettando, senza speranza. Perchè si badi bene, lui e suoi colleghi son piuttosto smaliziati. Conoscono le norme, le condizioni e l’etologia del carnivoro, e hanno ridotto al lumicino le speranze di vedere qualche novità.

A parte un miglior atteggiamento e un più responsabile comportamento del governo provinciale

Sorprendono un paio di stranezze.

La prima riguarda il cambio di approccio alla materia da parte della lega. In secondo ordine spicca l’assenza di novità rispetto alle attività di protezione, formazione e informazione. 

Che la lega la facesse troppo facile quando da sotto ai gazebo invocava le doppiette è cosa nota e poco sorprendente. Ma che ora, dal Governo della Provincia, scarichi tutto su Roma preoccupa. Questo perché non produce il segno di atteggiamento proattivo di collaborazione con le altre Province. 

E chiunque abbia un minimo di rudimenti amministrativi sa che è solo attraverso una cooperazione interregionale che lo Stato potrà prendersi l’impegno di attivare un piano lupo serio. Diversamente da ciò, anche se venisse permesso qualche abbattimento, non si arriverebbe mai a capo del problema. Il lupo, ormai lo sappiamo, è un animale territoriale. Lo spazio lasciato libero da un esemplare rimosso viene in breve tempo occupato da qualche altro esemplare.

Ma le nozioni da diffondere non si fermano certo qui. Molto e molto altro va diffuso e portato a conoscenza della pubblica opinione. Per questo sarebbe estremamente opportuno potenziare le riunioni pubbliche di informazione che tanto piacciono in modalità videoconferenza all’assessora. 

Andrebbero poi potenziate le iniziative di protezione del bestiame soprattutto in aiuto alla guardiania. Quest’ultima spesa l’avrei vista molto bene anche come imputata ad una misura del nuovo PSR. Ma si sa non c’è sordo più grave di chi non vuol sentire. E intanto sta per terminare la legislatura con un nulla di fatto ed una serie di frasi fatte ripetute a cantilena. “Massima vicinanza; è un problema difficile; è necessario convivere; abbiamo parlato al Ministro”. Lo stucchevole eloquio ha sostituito la raccolta firme; le invettive alla giunta precedente, le esortazioni a sparare. E’ questo il modo con cui la lega ha mantenuto la parola. Ha segnato un cambiamento rispetto al passato. Quello suo.

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Venti milioni di Euro in Val dei Mocheni: che bello! Ma che tristezza i sessanta di asfalto in Valsugana!

Da Michele Dallapiccola 14 Febbraio 2022

A questa giunta provinciale non abbiamo mai risparmiato le critiche. L’onestà intellettuale che ci guida ci impone anche di complimentarci quando le iniziative sono condivisibili.

Ed investire sullo sviluppo territoriale di per sé è positivo. Ma non ad ogni costo.

La piena regia nelle mani dei Mocheni

La dignità della Valle passa solo ed esclusivamente dalle mani degli imprenditori locali, dei suoi abitanti e dunque delle Amministrazioni comunali. Sono loro che sapranno dare il giusto taglio di sostenibilità alle infrastrutture da realizzarsi. 

Perché se c’è un valore che la valle ha ancora a disposizione è proprio quello relativo alla pace e alla tranquillità e all’assenza di un infrastrutturazione che altri luoghi hanno dovuto subire. 

I soldi possono portare anche il pericolo di speculazioni esterne alla località che potrebbero rompere equilibri ambientali ma soprattutto sociali. La Valle incantata non si compra col denaro e nemmeno con le ingerenze (anche politiche) di natura esterna. Chi conosce gli abitanti sa che sarebbero sempre rifiutate.

In quest’ottica, e soltanto in questa, ad una prima lettura del progetto si può provare soddisfazione. La generalità degli asset e delle iniziative finanziabili porta ad essere d’accordo.

Un ulteriore pensiero positivo è rivolto ai Primi Cittadini. Insigniti di questo importante risultato, potranno far ripartire attività ferme da anni per una serie complessa di ragioni.

Penso a quanto saranno contenti il Sindaco di Sant’Orsola per l’Albergo delle Terme o il Sindaco di Palù del Fersina che potrà finalmente veder incentivata anche la complicatissima ripartenza dell’attività ricettiva al Passo del Redebus. 

La nota dolente di questo pensiero.

Qui in questa Valle si è pensato di intervenire incentivando lo sviluppo territoriale. Percorsi, trekking, strutture, lavoro per le nuove generazioni insomma. E’ lo Stato che finanzia e lo Stato impone regole, a mio vedere, intelligenti.

Nella valle vicina, la Valsugana, la Provincia di milioni ne mette a disposizione il triplo, ben sessanta. Con un approccio a dir poco “barbarico” e una soluzione costruttiva che sembra presa “dopo cena”, pare abbia bell’e deciso di investire tutti questi fondi in uno stradone. Ben ventidue devastanti chilometri di asfalto, come dice la giunta, per valorizzare ambiente e favorire i collegamenti con il Veneto. Non ci siamo!

Nel confronto STATO – PROVINCIA nelle proposte di sviluppo locale un triste: 1 a 0, ci sta proprio tutto.

PS: piccolo appunto sugli aspetti legati alla proposta di sviluppo zootecnico.

Chi ha predisposto questo elenco di idee non deve eccellere particolarmente dal punto di vista dell’esperienza in questo campo applicata all’ambito locale. Parlare infatti di promozione dell’allevamento ovi-caprino tradizionale collegato al maso qui in valle denota scarsa conoscenza della realtà. 

Innanzitutto ovini e caprini sono allevati in modalità completamente diverse. 

Gli ovini stanziali sono pochissimi. La maggior parte di questi vive invece in transumanza. E’ una modalità che notoriamente non richiede strutture di stabulazione.

Per quanto riguarda i caprini la remuneratività è legata a grandi numeri e a strutture che sono assolutamente incompatibili con la portanza territoriale di quel tipo di animali. In più il latte caprino è da sempre afflitto da un profonda crisi sistemica che sconsiglia vivamente chiunque di intraprendere questo tipo di iniziativa ex novo. 

I pochi ettari di prato pascolo ancora disponibili sono tutti valorizzati dalle alcune vacche da latte ancora presenti. E anche pensare a nuova bovinicoltura in Valle sarà sempre più difficile. La nuova zootecnia si presenterà dunque forse più come corollario di attività diversificata rispetto a quella principale che non come azienda insediata ex novo. 

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L’attualità del messaggio autonomista

Da Michele Dallapiccola 13 Febbraio 2022

Parte da lontano. Dalla sua radice storica: l’Associazione Studi Autonomistici Regionali, l’ASAR.

Settantacinque anni di scissioni, fuoriuscite, piccoli aggiustamenti di simbolo lo hanno visto sopravvivere fino ai giorni nostri: sotto le spoglie che conosciamo oggi. E’ il Partito Autonomista Trentino Tirolese: il PATT. Nato come alternativa alla Democrazia Cristiana, da subito, ha cercato di distinguersi nel panorama politico locale. I suoi cavalli di battaglia hanno sempre tenuto in fortissima considerazione l’attualità perseguendo l’amministrazione della cosa pubblica col faro dei principi dell’autonomia e della cultura storica. Eppure, a giudicare dai numeri, questo partito non ha mai sfondato nel cuore dei trentini. Rispetto a quello degli altoatesini verso la SVP, l’interesse politico della popolazione locale ha da sempre preferito guardare ai partiti nazionali. Anzi, il Trentino dei tempi recenti è arrivato a tollerare e infine votare partiti nazionalisti statalisti. 

Di tutto questo sarebbe facile cercare le colpe in casa altrui. E’ invece da ritenere assai più produttivo individuare le cause interne del mancato incontro.

Per una serie di ragioni il Partito Autonomista è sempre stato poco accattivante per un gran numero di persone, soprattutto giovani. Eppure dietro ai messaggi che custodisce sono rappresentati tutti gli ingredienti per una società in equilibrio.  Il rispetto del proprio passato, la competenza per la gestione del presente e la definizione di pensieri per il proprio futuro. Si possono leggere nelle azioni concrete dei suoi amministratori di riferimento, diretto o indiretto. Da Roma a Bruxelles, dai Comuni, alle Circoscrizioni, alle Comunità di Valle fino alla Provincia. Non c’è luogo dove il PATT non abbia i propri riferimenti. Ciò accade proprio perché l’approccio alla gestione della cosa pubblica è pragmatico.

Si tratta dell’antesignano dell’agire civico. Si tratta di un metodo di amministrare completamente sdoganato dalle attuali liste Civiche che amministrano nei Comuni ora anche in lizza per la gestione della PAT.  Dal punto di vista programmatico ed culturale ed organizzativo le basi per piacere, dunque, ci son tutte. Non ci piove. Evidentemente quello che manca allora è un corretto modo di comunicarlo. 

Lavorare sull’aspetto, sui mezzi di comunicazione e sui contenuti

Se c’è una cosa che i nostri tesserati lamentano da sempre, è la mancanza di comunicazione tra la sede e la “base”. L’attività su carta, da sempre molto onerosa, ha conosciuto in questi anni ulteriori eccessi di difficoltà. In parallelo però la comunicazione digitale è stata però completamente sdoganata alla portata di tutti, dalla diffusione dagli smartphone. Oggi, per accedere alla rete non è più necessario possedere hardware e competenze particolari. E col meccanismo delle notifiche si può agire proattivamente sulla persona per la cattura della sua attenzione. Contenuti brevi ma frequenti, su poche pagine social, accorpate riconoscibili e condivise potrebbero moltiplicare la promozione del Brand PATT. Iniziative di valle, ora gelosamente custodite su chat zonizzate, potrebbero diventare patrimonio comune. 

Un nuovo contenitore

Anche il contenitore andrebbe rinnovato, a partire dal simbolo. Attingendo ai principi del marketing moderno il simbolo dovrebbe assumere carattere di logo, e percezione di autentico Brand: un marchio. Come procedere? È prassi piuttosto recente del mondo del design ricorrere a stilemi che ascrivono alla nostalgia senza stravolgere le buone idee originali. Vengono riproposti nuovi aspetti e interpretazioni dell’idea di partenza.

Prendiamo il mondo dell’automotive. Sergio Marchionne rilanciò la FIAT attraverso la riproposizione della 500. Le linee della nuova 500 richiamavano in tutto e per tutto quelle della vecchia. Ma la nuova vettura non aveva nulla a che vedere con quella precedente. L’operazione geniale fu quella di produrre un contenitore assai simile al primo modello ma in tutto e per tutto rispondente ad una moderna citycar a prezzo ragionevole. Risultò appetibile per il mercato giovanile ma interessante anche per gli acquirenti d’antan che rivivevano i giorni della loro gioventù acquistando qualcosa di moderno

Un rinnovato messaggio politico

Pensiamo allora al PATT. All’aspetto del suo simbolo e dei suoi colori. Ai suoi social, al suo sito alla sua comunicazione. Quanto si potrebbe lavorare per valorizzare persone e contenuti che animano ogni sua azione quotidiana dentro ad una nuova configurazione di mezzi, di aspetto grafico delle comunicazioni, di simbolo-logo-brand?

Già dallo stesso acronimo di partito si potrebbe intuire un nuovo payoff. Ecco qui l’operazione nostalgia-modernità di Marchionniana memoria. Mai come in questo frangente storico si è dimostrata necessaria la presenza dell’Unione Europea a garantire pace, prosperità ed economia.  Perché allora non ripensare ad un PATT-EU. Abbiamo già avuto un momento storico nel partito dove queste due vocali affiancano l’acronimo del nostro simbolo. E oggi, PATT-EU può definire, già a partire dal nome, il perimetro politico-amministrativo entro i cui confini  operare. Termino questo alcuni cenni alla forma per passare alla sostanza dei contenuti.

Nuovi contenuti nel programma politico.

Nel novero delle emergenze sociali di questo tempo, quella del lavoro rimane ancora una delle questioni più rilevanti delle quali un partito politico ha l’obbligo di occuparsi. Parliamo di lavoro inteso come economia. La possibilità di sostentamento di una comunità non può più permettersi di prescindere dal luogo che abita, vive e valorizza.

In pratica non è possibile parlare dell’ecosistema altamente antropizzato della montagna trentina senza affrontare l’imprescindibile questione ambientale 

Oggi la tutela dell’ambiente è trattata talmente in tante declinazioni e sfumature che parlarne qui in questo modo risulta quasi offensivo. Ma è imprescindibile. La tutela dell’ambiente anzi, e degli animali, è da pochi giorni diventata articolo della nostra Costituzione. Con un passaggio ulteriore. La protezione dell’ambiente deve permettere all’uomo di conviverci. La politica verde del no ad ogni costo si è infatti rivelata tanto affascinante quanto impraticabile. Invece un messaggio moderato che esprime il concetto di sostenibilità, affiancato all’ambientalismo diventa chiave di volta per comprendere lo sviluppo della montagna del domani. 

Sostenibile, non mi stancherò mai di spiegare questo abusatissimo termine significa per sempre e per tutti. Si applica facilmente ad una serie di attività umane. Due, a mio modestissimo avviso, hanno di questi tempi una grandissima forza gravitazionale per chi si interessa di politica. Sono argomenti insomma che portano con sé una potenziale attrattività “orizzontale trasversale” capace di indurre interesse nei confronti di un’ampissima platea di persone. A mio vedere è proprio questo allora l’atteggiamento che deve adottare un partito di raccolta quale vuole diventare il PATT. 

Il Trentino ha l’ambiente nel proprio DNA. Questo dato incontrovertibile gli deriva, oltre che dalla propria collocazione geografica, anche dalla conformazione del proprio territorio. Rinforza l’essere terra con una forte vocazione culturale mitteleuropea. Negli anni, questo connubio Trentino/ambiente, è stato concepito, costruito e utilizzato (giustamente) come brand cioè, passatemi il termine, come strumento di marketing e lo è tutt’ora. La società attuale pone e, soprattutto, pretende impegno da tutti sulle predette tematiche. Da qui, l’utilità per un partito di trovarsi a fianco di queste persone e farne battaglia comune.

Il Partito di raccolta

Oggi il PATT riunisce in sé parecchie “anime”. E’ forse questo l’eufemismo più interessate per definire le inclinazioni politiche al suo interno. Atteggiamenti liberali, talvolta si scontrano con sensibilità sociali, esattamente come accade nella cugina SVP. L’attrattività da parte di chi ci osserva dall’esterno è garantita dalla rinomata attenzione alle radici storiche della terra trentina. Lo sforzo di non sconfinare nel parossismo è notevole e le nuove generazioni che hanno tentato di approcciare il partito di dividono immediatamente. Si formano legami interni con le persone che animano le due correnti ma lo scambio tra le stesse è poco fertile e tantomeno poco proficuo. Valgono ancora molto le relazioni interpersonali e la rete della amicizie dei vari componenti di Partito.

L’agognato rinnovamento oltre che dal payoff che annunci un rinnovato perimetro di interesse politico e dalla grafica del simbolo, dovrebbe offrire rinnovate aree di interesse politico- partitico. Nuovi argomenti potrebbero affiancarsi all’interesse per la cultura mitteleuropea e alla storia in un’ottica di loro valorizzazione. Degli ambiti che riguardano il sociale e la persona, ne dà ampia motivazione la collega Demagri nel suo documento congressuale.

Questo mio, completa gli ambiti di interesse chiedendo al partito un ulteriore sforzo. Occuparsi di lavoro, di sostenibilità e di conseguenza di ambiente può essere la sfida del nuovo PATT. Un rinnovato insegnamento potrà arrivare dagli Schuetzen. Attraverso la divulgazione degli aspetti culturali legati alla nostra storia ci hanno insegnato di un tempo in cui l’impegno civico volontaristico doveva esplicarsi attraverso azioni di protezione da aggressioni di vario genere e grado. Le aggressioni di oggi derivano da comportamenti umani sbagliati, inquinamento o politiche non adeguate alla preservazione della montagna. Dobbiamo far sì che questo nuovo PATT possa diventare il partito che a quelli della tradizione affianca (anche) i nuovi protettori: quelli del nostro ambiente: la terra dove vogliamo vivere. 

Questi nuovi aspetti tematici, questo rinnovato aspetto digitale potrebbero davvero favorire l’ingresso di nuove leve che partendo non necessariamente dal dato anagrafico potrebbero ringiovanire il partito. Interpretare i principi e la storia dell’autonomia in chiave moderna sarà il nostro passo evolutivo. Obbligatorio.  

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Aiuto: dateci un motivo per uscire!

Da Michele Dallapiccola 13 Febbraio 2022

Ci avete fatto caso anche voi come dopo questa pandemia, sia per tutti un po’ più faticoso uscire di casa?

Premetto, assolutamente convinto, che il lockdown per quanto drammatico e costoso per l’economia, sia stato davvero provvidenziale. Ha assunto il ruolo di primo muro alzato verso il coronavirus. Fin quando non è arrivato il vaccino, il distanziamento sociale ha dato una mano a proteggerci.

A quel punto, volenti o nolenti, dal chiuso delle nostre abitazioni, abbiamo scoperto le tele riunioni, le call, il telelavoro; che la carta serve sempre meno e che il cellulare è un attrezzo sempre più indispensabile.

Il Covid non c’è dubbio, ha segnato un’era.

Ciò che accadeva prima non è la stessa cosa di ciò che accadrà, d’ora in poi: nel dopo. Le conseguenze articolate di questa pandemia oscillano con un riverbero continuo anche sull’economia. Fattori che si intersecano con crisi geopolitiche e meteorologiche interplanetarie hanno influito sui prezzi in maniera inaspettata, anche a causa dei sussulti dei consumi provocati dal Covid. Materie prime, carburante, bollette impazzite.

In mezzo a questo multicomposito marasma economico ci siamo noi, con le nostre abitudini. Abbiamo smesso di uscire ed improvvisamente ci siamo accorti che tutto sommato a casa, la sera malaccio non si sta. A quelle delle persone che mancano all’appello, aggiungiamo chi effettivamente ha ancora molta paura del virus.

Una piccola percentuale la aggiungo anche a causa dei novax. In nome di un aberrante mix di credo e fandonie si sono preclusi la possibilità di frequentare la società civile. Ma in fondo, a giudicare dal tenore dei loro discorsi, non se ne sente la mancanza.

Indipendentemente dallo specifico motivo resta il fatto che sono molte le persone che escono meno di casa. Mancano all’appello alle riunioni serali e di giorno, nei bar, nei negozi, nei consumi.

Eppure, sono convinto che quella voglia di vedersi, di frequentarsi tornerà quando il virus se ne sarà definitivamente andato. Ci vorranno ancora almeno un paio di stagioni. Senza riuscire comunque a spazzar via la tristezza lasciata dalle persone che si è portato via da noi.

Ci consegnerà però una sola vera consapevolezza: quella della fragilità dell’essere umano e del fatto che questo è ben lontano dal possedere il dominio sulla natura.

L’invincibile uomo occidentale capitalista e antropocentrico, questo insegnamento è forse davvero l’unica cosa buona che si è portato via da questa tragedia planetaria. Speriamo finita.

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Il concerto si farà e sarà un successo. Con cinque buoni motivi per essere arrabbiati. 

Da Michele Dallapiccola 11 Febbraio 2022

La felicità dei 37 mila trentini e 5mila altoatesini che hanno acquistato il biglietto si contrappone ad un gran numero di persone che non capiscono.

Dello stato d’animo dei restanti 500 mila abitanti qualche supposizione, infatti, possiamo anche farcela. A 400mila, verosimilmente importerà poco o nulla ma ci sono 100mila abitanti, quelli della città, che nella settimana del concerto, quanto a traffico e disagi, vedranno i sorci verdi. Per quattro buoni grossi motivi.

1 -Lo spreco di terreno o risorse che si impegneranno a spargere 27 ettari di legante.

Eppure non sarebbe stato difficile, provare ad immaginarlo prima. Ogni contadino o persona che solo minimamente se ne intende di campagna avrebbe riferito che a partire a così pochi mesi di distanza non è possibile trasformare 27 ettari di incolto in 27 ettari di prato stabile e radicato. I momenti di frizione con l’opinione pubblica, nascono da questi sopra e da tanti ulteriori fattori. 

2 -La disparità di comportamento tra l’Ente pubblico verso il concerto rispetto ai suoi concittadini.

Pensate a quanta burocrazia, deve investire un privato qualsiasi nel movimento terra. Per la caratterizzazione delle terre e rocce da scavo o per i permessi a lavorare intorno a corsi d’acqua, per un trentino qualsiasi possono essere necessari mesi per non dire anni. Qui invece, la Provincia bypassa tutto come se non bastasse utilizzando la protezione civile.

3 -L’enorme utilizzo di denaro pubblico in un momento di estrema crisi.

Senza contare che le stesse somme si sarebbero potute utilizzare con calma per promuovere comunque il turismo. Anziché in un solo mega evento della durata di un fine settimana si sarebbero potuti organizzare una serie di eventi di minore portata ma molto più numerosi, distribuiti nel corso di diversi fine settimana. Avrebbero portato le stesse persone ma più diluite nel tempo e dunque con un maggior ritorno per il territorio che le avrebbe ospitate. Insomma il rischio che per il turismo il ritorno economico assomigli più ad un fuoco di paglia che un bell’impianto di riscaldamento è elevato

4 -Il contratto l’artista.

Qui la Provincia proprio non pare essersi distinta per capacità di trattativa. Sembra quasi piuttosto che abbia “calato le braghe” di fronte a richieste assolutamente incomprensibili. Quando vedremo sfrecciare il cantante con l’elicottero del 118 – Pronto Soccorso, (come da contratto) avanti indietro da una valle turistica (dove risiede magari qualche figura politica di riferimento della lega locale) allora il pasticcio sarà davvero compiuto. 

5 – I rischi di un ammassamento così enorme di persone.

Mai testato prima in provincia in un tempo così breve, mai in un luogo così particolare. La prudenza e la diligenza di comportamento regneranno sovrane, la paura si dissiperà solo a concerto finito.

In conclusione

L’idea di un concerto per la Provincia Autonoma di Trento non è né una novità né una trovata geniale alla quale nessuno aveva mai pensato prima. Semplicemente gli amministratori del passato avevano valutato che nel bilancio dell’iniziativa i costi e i disagi superavano i benefici. Soltanto questo abbiamo voluto far notare al Presidente Fugatti in Consiglio. Dalle sue dichiarazioni di risposta pare invece si sia sentito quasi offeso. Le nostre, in effetti sono state considerazioni a tratti anche molto dure. Tuttavia, sarà bene che la lega prenda atto che ciò che noi diciamo in consiglio è frutto di quanto quotidianamente raccogliamo dai cittadini arrabbiati. Non capiscono il senso di un evento così impattante e costoso preparato tra l’altro con tale e tanta fretta da dover essere gestito dalla Protezione Civile. Come le disgrazie.

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Il Trentino: sempre più terra promessa? A giudicare dagli impegni presi per gli impianti a fune sembrerebbe di sì. 

Da Michele Dallapiccola 10 Febbraio 2022

Un paio di condizioni non prettamente collegate tra loro, stanno spingendo l’entusiasmo amministrativo della Provincia a lanciarsi verso nuovi interessanti impegni rivolti ai trentini.

A dare alla testa di chi governa, con ogni probabilità, sono state le ingenti disponibilità economiche determinate dal PNRR. Spingono questo governo provinciale ad assumersi impegni economici assolutamente incongruenti alle vere disponibilità. 

La seconda condizione che favorisce promesse ed impegni è senz’altro l’atteggiamento politico che la lega ha deciso di mantenere nei confronti dei propri elettori. Rifacendosi ad un proprio stile, confermato a più riprese dal Presidente Fugatti, si pregia di essere il partito dei sì. Alternativa di governo a quello che fino ad ora è stato invece, a detta loro, il partito dei no. 

Ebbene, se in passato qualche importante diniego c’è stato, si è sicuramente verificato a causa del realismo e della prudenza che ha da sempre contraddistinto la precedente maggioranza provinciale.

Una volta al governo invece, il centrodestra trentino si è subito lasciato trasportare dall’entusiasmo positivo su moltissimi progetti. 

Oggi, il focus di questo ragionamento può riguardare l’atteggiamento mantenuto sulla pianificazione di nuovi impianti a fune. Ai molti i progetti prospettati, sognati e qualche volta pure già progettati anche nel recente passato, la lega non ha mai detto no.

Ogni località ha diritto a coltivare il proprio sogno. 

E’ a dir poco necessario, specie per alcuni progetti che tra l’altro sono più realistici di altri. Penso alla funivia tra Trento ed il Bondone rispetto ad altri che lo sono poco, per non dire per niente. Pensiamo al collegamento Riva Ledro, ad esempio. Eppure, il partito dei sì, li ha promessi tutti. A tutti.

Uno studio di fattibilità non si nega a nessuno. 

Il problema si sviluppa quando si impegnano risorse generando illusioni o peggio ancora scontri: Lo vediamo nelle località dove le opere a fune in discussione generano condizioni di scontro sociale. Non c’è territorio o comunità di Valle dove non sia stato promesso un collegamento funiviario dal costo milionario. Da finanziarsi con le risorse del PNRR. 

Sommando la lunghezza delle funi promesse, una volta realizzate, in funivia si raggiungerebbe tranquillamente Verona. E i fondi necessari a costruire tutto arriverebbero a collocarsi inesorabilmente tra i 200 e i 300 milioni di €uro. Ad esser buoni. Un po’ fuori scala rispetto alle disponibilità, non trovate?

Vien proprio da pensare, dovendosi trovare nei panni di un amministratore locale, che se un membro della giunta arrivasse a garantire il finanziamento di un nuovo impianto a fune sul proprio territorio comunale, ecco, un po ‘di domande me le porrei. Anche se amministra il partito del sì. Ai concertoni.

10 Febbraio 2022 0 Commenti
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