UN OSSERVATORIO ZOOTECNICO PROVINCIALE. A COSA MAI PUÒ SERVIRE? (PRIMA PARTE)

Da Michele Dallapiccola

L’attualità della zootecnia trentina. 

Prezzo del latte, direttive sullo spandimento liquami e relative autorizzazioni allo scarico di azoto in ambiente, una sempre più severa, quanto giustissima, tutela del benessere animale, atavica carenza di prato e di pascoli. Sono queste le principali “Spade di Damocle” del Sistema Zootecnico trentino.

Eppure, specie dal secondo dopoguerra, sono state attuate pesanti politiche di sostegno del comparto. Nonostante tutto, sono le aziende più strutturate ad essere sopravvissute, specie rispetto a quelle piccole. 

Perchè questo risultato? Perchè alla fine, le dinamiche ha dimostrato di saperle governare più il mercato che i tentativi della politica. E ancor meno di “Via delle Bettine”. Che tanto più frustrata ne uscirà, quanto meno vorrà prendere atto che vi sono dei fenomeni che difficilmente si possono governare con regole e imposizioni. Intanto, la dimensione media dell’azienda in Trentino rimane – ahinoi – ancora saldamente governata dal prezzo del latte e da un altro più determinante fattore: il modello sociale di vita che attende l’imprenditore che decide di avventurarsi in bovinicoltura.

Anche ai giorni nostri, come un tempo, allevare bestiame richiede una dedizione in termini di impegno che nessun altro lavoro in assoluto richiede. 365 giorni all’anno 7 su 7, 24h su 24h. Questa è la realtà di chi ha vacche in stalla. 

Guardare il futuro partendo dal presente.

Partiamo dalla foto di ciò che siamo comparandola a ciò che vorremmo diventare. Non fa piacere allontanarsi da questa rappresentazione immaginaria e osservare la zootecnia trentina un po’ più da lontano. Si finirebbe per accorgersi che molti allevatori trentini si sono dovuti omologare al modello di stalla di pianura. Comprensibilmente. Io li capisco, e confermo che sono più che giustificati dalle condizioni di contesto. Se poi ci confrontiamo col vicino Alto Adige il rapporto è ancor più impietoso. Con centomila animali, lassù. Un patrimonio bovino praticamente doppio rispetto al nostro. Ma a spaventare è la differenza tra il numero delle Partite Iva che lo gestiscono: 10 volte maggiore rispetto al nostro.

Ma perché, allora, in Trentino le stalle negli anni son diventare sempre meno e sempre  più grandi?

Lo hanno dovuto fare per non soccombere, per poter competere col mercato. E ha contribuito anche qualche casualità. La più felice? Senz’altro la geniale intuizione ante-litteram che nel dopoguerra portò qualcuno ad emanciparsi dal sottosviluppo del proprio passato. Di lì, la Val di Non ed a macchia d’olio l’intero Trentino, sarebbero state convertite alla produzione di un formaggio di pianura per antonomasia. Ciò che oggi è il Trentingrana. Da allora è un vero e proprio bene rifugio dei bilanci dei nostri caseifici. E’ una Sotto-Dop del Grana Padano, prodotto con cura maniacale e regole più stringenti rispetto al presidio agroalimentare al quale appartiene. Per quanto tempo ancora il suo immenso valore, proteggerà caseifici, stalle e relativi bilanci?

Per fortuna Caseifici sociali, privati e singole aziende macinano diversificazione, qualità e quantità. Dal latte alimentare ai prodotti tipici e tradizionali. E’ qui che urge sostegno pubblico. Saranno fondamentali le azioni di marketing e aiuti aggiuntivi, specie dei contributi settoriali.