Cosa resterà di questo 2020?

Da Michele Dallapiccola

Un’anno fa, proprio in questo giorno, mi sentivo curioso. Sono una persona pragmatica legata più alla quotidianità che all’ultraterreno ma questa serie di 2 e di zeri, messi in quel modo, mi affascinava. Era come se percepissi che contenevano qualcosa di speciale! Sigh!!

Così è stato. Nessuno avrebbe mai pensato però a qualcosa di così tragico e terribile. Assurdo, incomprensibile, inimmaginabile e quanti altri aggettivi si possano impiegare per descrivere la pandemia. 

Ora, siamo in trepidante attesa del vaccino, poi dei suoi effetti, poi del ritorno alla normalità.

Non sarà certo una passeggiata. Forse ci vorrà un’anno almeno e anche più. Ci metteremo ancora tanto forse troppo. i nostri nervi e purtroppo i nostri portafogli, rimarranno ancora a lungo alla prova.

Ma secondo te, cosa ci portiamo via da quest’oscurità? Il Sars CovII che cosa ci ha insegnato?

Io non so cosa ha alimentato in te, mio paziente lettore o lettrice che tu sia. Oltre alla paura, alla rabbia, alla preoccupazione per il futuro dei tuoi cari, del tuo o della tua terra.

Anch’io, sai ho provato queste cose. Ma ne ho ricordate anche altre e non utilizzo distrattamente questo termine perché era come se le sapessi già. Le avevo solo un pò dimenticate. Sono grandi valori che la sofferenza ha fatto riemergere.

Ne parlavo con mio padre in questi giorni, quelli appena prima del Natale di 18 anni fa. Stava per andarsene e lo sapeva (un cancro allo stomaco lo avrebbe spento per sempre il 23 dicembre 2002). Raccontava di quanto è bella la vita e quanto gli sarebbe dispiaciuto non vedere più il sorriso dei suoi nipoti, della sua famiglia. “Basta popi, basta voi, basta pecore. Basta tutto. Brutto è per chi va, non per chi resta perché potrà goderne ancora” Da mio padre, in quel momento imparai ad apprezzare la vita come mai, fino a quel punto, ero riuscito a fare. E di lì in poi, quell’insegnamento, l’ho sempre portato con me. Mai avrei pensato, mi sarebbe tornato tanto utile come ora. 

Chi se n’è andato a causa del virus oggi, magari anche tardi o come si dice con patologie concomitanti, lo ha fatto prima del suo tempo. Chi è rimasto ha la responsabilità di vivere anche per loro.

Il primo giorno del nuovo anno, uscendo di casa, sapremo apprezzare un pò di più l’aria del mattino? Saremo capaci di osservare con soddisfazione il gorgogliare della moka al suo primo caffè dell’anno? Lo schermo del telefonino illuminarsi per la prima notifica, quanta gioia ci darà?

Io voglio pensare che lo scorrere dell’anno sarà una piacevole sorpresa.

Anche solo poter lavorare, sarà una gioia. Col pensiero (per noi politici anche l’impegno) rivolto a chi il lavoro lo deve ritrovare.

Sarà meraviglioso passeggiare, incontrare di nuovo gli amici, vivere la nostra terra, ritornare a godere del contatto fisico e di una stretta di mano. 

Ecco qui arriva la mia riflessione. Alla fine io penso che le cose che attendo di più sono la possibilità di darsi un abbraccio o una stretta di mano. In fin dei conti, sono o non sono il suggello della nostra socialità, l’atto che più ci contraddistingue dagli animali? Che pure possono essere sociali, anche molto più di noi.

Aspetto quell’annuncio: potete di nuovo darvi un abbraccio! Stringetevi la mano. In tutta sincerità anche perchè, se si potrà fare anche quello, sarà perchè nel frattempo avremo risolto molti – ma davvero molti – altri problemi.

Io questo mi aspetto dal 2021 o almeno che mi ci porti vicino. 

E al 2020, molto sottovoce, dico grazie per avermi drammaticamente ricordato il grande valore della vita. E di tutte le piccole cose che messe insieme la rendono meravigliosa.