Si vaccina quando si vuole o quando si deve?

Da Michele Dallapiccola

Ieri in consiglio si respirava un clima pesante. Come gruppo di opposizione abbiamo richiamato la giunta ad una comunicazione di “aggiornamenti sull’epidemia in corso con particolare riguardo alla campagna vaccinale e alle Rsa.”

I dati riguardo alla riduzione dei numeri dell’epidemia danno una certa speranza. Certo non si deve abbassare la guardia perchè il virus circola ancora. Inoltre, preoccupa il ritardo soprattutto nella fornitura dei vaccini. A fronte di una somministrazione che tutto sommato procede abbastanza bene, mancano dosi.

Al riguardo, a mio avviso, la discussione in Consiglio ha assunto toni davvero preoccupanti. Alcuni consiglieri di maggioranza, senza preparazione professionale alcuna al riguardo, rassicuravano ampiamente la platea. Affermavano che spostare il richiamo della vaccinazione al 42 giorno dalla prima inoculazione non comporta nessun problema. Solo perché lo ha proposto la giunta? 

Cosa dice la patologia generale 

Ci racconta che per avere un’adeguata risposta immunitaria è necessario che la seconda somministrazione di antigene richiami lo stimolo di risposta anticorpale a quei linfociti attivati dalla prima iniezione. Che devono essere ancora vivi e reattivi. Gli immunologi concordano nel considerare questa condizione perdurare per non più di 6 settimane dalla prima inoculazione. Attendere, perciò, può comportare che il pool linfocitario sia scemato e non sufficiente a sviluppare l’atteso effetto booster. Si tratta della reazione dell’organismo vaccinato che sviluppa sufficiente memoria di risposta per lungo o lunghissimo tempo. Dunque, vaccinare al 42 giorno provoca la condizione di non avere nessun giorno di riserva per compiere questo atto. Un colpo di febbre, un ritardo nella fornitura un qualsiasi contrattempo, comporterebbe che il processo vaccinale va ripetuto da capo.

Mentre in consiglio la maggioranza difendeva l’indifendibile giunta, fuori si consumava la protesta.

Il balzo in avanti, per far fare bella figura a Salvini che prometteva aperture precoci in Trentino, ha prodotto gravi disparità. Le hanno manifestate con un sussulto di disagio i ristoratori delle valli che rispetto alla città non possono ancora aprire. Chiedevano aiuti, risposi, compensazioni.

La giunta si è presentata ”nuda” con ancora un nulla di fatto in più rispetto ai provvedimenti statali. 

Nel frattempo, in aula la maggioranza votava serena un provvedimento dove si nega che vaccinare quando si può dal punto di vista logistico non è la stessa cosa che farlo rispetto a quando si deve dal punto di vista medico.