Tra economia biologica o sostenibile c’è di mezzo il… fattore istituzionale.

Da Michele Dallapiccola

Michael Porter è un economista di fama internazionale. Insegna alla Harvard e nel suo testo dal titolo: “Il vantaggio competitivo”, di questo fattore, ne parla in maniera piuttosto sfuggente. 

Lo fa dentro ad un libro molto tecnico, crudo, al limite dello spietato. Analizza le questioni di marketing e di mercato dal punto di vista dei costi e della competitività.

Nella diagnosi delle determinanti di costo, parla assai fugacemente – fin troppo a mio giudizio – dei fattori istituzionali. 

Per il lavoro che faccio, invece, questo mi sembra un elemento assai importante, specialmente perché si collega ad una questione di indirizzo pubblico di estrema attualità. Il referendum sul distretto biologico. Nella proposta, nulla di coercitivo, si badi bene. Di fatto però ha consegnato nuovamente al dibattito pubblico un’annosa questione: quella delle regole che la politica dovrebbe dare ai mercati. Ed è qui che si innestano i fattori istituzionali del nostro titolo.

Le regolamentazioni insomma, gli incentivi fiscali e le normative locali sono una grande variabile sulla determinante del costo del prodotto. Per la cui determinazione, tutti i settori economici di qualunque luogo, sono soggetti al confronto globale con il “trade”. Su questi, la politica influisce solo in parte.

Per non parlare sui consumatori. Su di loro più che norme e leggi valgono l’influenza di pubblicità, condizioni sociali ed abitudini di vita.

E anche l’economia Trentina si confronta con questa situazione. Si trova a competere col mercato Mondo, insomma. Lo fa con l’import-export industriale, lo fa con il turismo e non di meno anche con la propria agricoltura. 

Il food & beverage, ad esempio, con oltre 350 milioni di euro di valore secondo Confcommercio si contende il podio con l’industria come prima determinante economica del nostro export. 

Adoperare i fattori istituzionali per ridurre i costi.

Norme e regole devono servire a tutelare la Terra Trentina dal consumo e dalla depauperazione delle risorse ambientali. Dunque, va preservata la salute. Innanzitutto di uomo e di ambiente e insieme anche del suo lavoro. 

È possibile mediare su tutti questi aspetti? È possibile creare delle considerazioni normative di contesto permettendo alle imprese di lavorare ed ai comuni cittadini di vivere in salute?

Allo stato attuale la risposta sembra dipinta dentro ad un quadro in fieri dove le soluzioni ancora non esistono, ma sono un qualcosa “a tendere”.

Il caso dell’agricoltura biologica.

L’anelito è quello di arrivare ad un mercato che superi le difficoltà che i fattori produttivi locali riversano sul prezzo. 

Come non essere d’accordo? Vorrei un cibo buono, bello, sano, a km zero. E a buon mercato.

Ma ne abbiamo parlato fin troppe volte. Implicazioni locali, quali parcellizzazione catastale, latitudine, microclima, non rendono il metodo biologico il miglior metodo per poter rispondere a tutte queste caratteristiche insieme allo stesso momento. Non solo per la ristrettezza della nostra terra, ma anche per altri motivi.

Prendiamo la numerosità dei trattamenti ad esempio. L’utilizzo di farmaci, per quanto “naturali” (e cosa voglia dire questo andrebbe approfondito) può essere un peso per i nostri terreni così come per la qualità dell’aria può incidere la quantità di anidride carbonica emessa dalle macchine operatrici. Sopperire ad avversità atmosferiche o biologiche dovendo effettuare moltissimi trattamenti sull’intera superficie provinciale potrebbe diventare poco sostenibile. E oggi infatti non è così perché agricoltura, modalità di coltivazione e numerosità e tipo di trattamenti si alternano a seconda dei metodi.

Sostenibile.

Ecco, è forse questo l’aggettivo che meglio definisce un’apparente quadratura del cerchio. Questa figura geometrica dovrebbe idealmente comprendere la giustificazione ai fattori di costo – legati ad una migliore qualità – con quelli imprescindibili della salute. Certo, per poter apprezzare dentro ad un prodotto, il valore intrinseco della sostenibilità, è necessaria una diffusa cultura e conoscenza di questo stato di cose.

Cosa vuol dire coltivare biologico? Cosa significa lotta integrata? Ed agricoltura sostenibile? E questi concetti si potrebbero applicare a tutti i settori economici trentini?

Diffondere le risposte a queste domande, è la vera vittoria in questi tempi bui della cultura identitaria locale.

Adottare o promuovere misure politiche in assenza di un’adeguata promozione culturale in questo senso è come costruire una casa cominciando dal tetto.

E dopo tanti anni di lavoro in Trentino per costruire le fondamenta, sotto questa guida politica rischiamo di trovarci a chiamare subito i carpentieri prima ancora che i muratori.