Biogas dalle deiezioni dei bovini. Perchè ancora tanti dubbi?

Da Michele Dallapiccola

Emerge frequente e cadenzata, l’atavica paura di qualcosa che potrebbe succedere in relazione alla presenza di un impianto di Biogas su un territorio piuttosto che un altro.

Probabilmente, lo spiacevole sentimento è dovuto alla non conoscenza. Ancora, anche alla paura verso qualche imponderabile accadimento legato magari alla disonestà. Del resto parlando di reflui di rifiuti tutto può succedere. Ebbene, la frase incriminata e scatenante le riflessioni di oggi,  si è letta stamane, in calce ad un articolo che riguardava l’impianto consortile di Romeno, in Val di Non. E se non mancano paure rivolte al costruendo impianto nelle Giudicarie, sembrano invece superate quelle della Bassa Valsugana.


La realtà trentina

Di impianti di Biogas consortili in Trentino ce ne sono 3. E altrettanti privati. Stiamo procedendo a rilento rispetto all’Alto Adige, dove sono una trentina. Eppure questa macchina meravigliosa, altro non è, che un enorme rumine artificiale che prosegue nella digestione di  tutta quella cellulosa  che i prestomaci bovini non sono ancora riusciti a digerire.


Il risultato si sostanzia nella produzione di metano cioè un gas pulito, ecologico che brucia in un normalissimo motore termico. Tipo quelli che muovono in città i nostri Autobus. Sono scelti per le loro emissioni meno nocive di altre proprio in funzione dell’alimentazione a metano.


Come funzionano questi impianti?

E’ un fatto così interessante che ciascun curioso avrebbe il dovere di verificare con il proprio naso. Rimarrebbero stupiti perché tutte le emissioni odorose dei biogas risultano contenute dell’attrezzatura necessaria alla sua produzione. Il risultato in situ è che l’odore tipico di latrina bovina è praticamente assente. L’aspetto e l’olezzo del digestato sovrapponibili alla torba è distribuibile tal quale senza nessun disagio odoroso.


Certo i problemi tipici dell’impiego spinto degli impianti di biogas in agricoltura li conosciamo. Gli studi sono ampi ed approfonditi anche sui due punti maggiormente dolenti. L’iper-replicazione di popolazioni clostridiche e la riduzione delle praterie ricche di specie.


Ma proprio perché si tratta di problemi tecnici ampiamente conosciuti, risulta meno complicato il loro contrasto. E nemmeno è giusto avere paura di un utilizzo criminale di questi impianti. In questi impianti a servizio delle stalle si può apportare praticamente soltanto deiezioni bovine e pochissimo materiale vegetale comunque di origine aziendale. I controlli in Trentino sono pesantissimi grazie anche alla diffusa rete di videocamere che molte Amministrazioni comunali hanno attivato.  


E’ assolutamente inaccettabile che la loro diffusione sia ostacolata attraverso l’alimentazione del sospetto. Sarebbe come impedire di far costruire una strada perché poi ci sono quelli che superano i limiti di velocità.


Qualche suggerimento?

Ecco forse che un po’ più di promozione dei grandi vantaggi da parte della politica e dell’amministrazione non farebbero male. Si implementerebbe quella filiera della fiducia che solo le istituzioni ancora oggi in parte conservano. Purtroppo però, per una serie di ragioni, come sta succedendo da qualche parte in Trentino, un po’ per ignoranza un po’ perché probabilmente si preferisce declinare le responsabilità, ci sono progetti che languono.


Eppure questi nuovi, costruendi impianti, potrebbero risolvere i numerosi problemi di convivenza tra le persone e le stalle, specie nelle valli particolarmente turistiche.

Nell’immagine in anteprima l’impianto consortile di Predazzo. Nell’articolo le foto di riferiscono a quello di Castel Ivano