Fa tanto sorridere provare a rivivere i lavori di un tempo rivisti nella consapevolezza della velocita della società di oggi.
Gli strumenti, sono il miglior linguaggio per trasmettere questa differenza. Si arriva davvero ad interrogarsi profondamente senza quasi capire come fosse possibile fare in passato.
Anche in agricoltura questo passaggio è straordinario. Se vogliamo, in particolare perché è soprattutto dal secondo dopoguerra che le cose sono cambiate radicalmente. Almeno in una prima fase la rivoluzione industriale infatti ha influito poco. Anzi, ci sono settori nei quali ad influire, fa fatica ancor oggi. Prendiamo ad esempio l’ovinicoltura praticata in pascolo vagante.
La transumanza
Certo, alcune cose sono cambiate. E tanto. Ma ad essere impressionante è che me le ricordi io, che sono nato nel 1968. Ho avuto la possibilità e forse la fortuna di vedere davvero quel tipo di vita. Ad esempio non c’è più la “zaga”. Si trattava di un “letto” fatto di pelli di pecora per isolare dal terreno sotto, con le coperte e il telo tirato fin sopra la testa. Era trasportato a soma degli asini. Solo da pochi decenni è stato sostituito dai mezzi meccanici.
Solo negli anni 80, arrivano qui i primi recinti elettrici. Fu un’innovazione favolosa perché a tenere in “aia” cioè riposo sostituì le guardie. Erano indispensabili nelle notti di tempesta e si tenevano a turno tra le due o tre persone che “paravano” cioè badavano il gregge. Infine anche la tosatura. Solo recentemente è stata meccanizzata anziché manuale.
Una serie di progressi che in altri settori si sono accompagnati alla redditività. Sempre più migliorata. Pensiamo trentino al settore della mela, specie in alcune valli o della vite.
In ovinicoltura le cose si sono involute.
In questo settore sembra quasi che il progresso si sia mosso come un gambero. Perché la cosa triste è che tutta la produzione di questo antico lavoro, essenzialmente lana e carne, per la clientela italiana e ancor peggio trentina, vale poco quando non addirittura nulla.
Ben vengano dunque comunità islamica locale e contributi europei. Eh sì, svelato l’arcano. Sono questi due fattori che sostengono un settore che al Trentino dona tanto. La pastorizia coltiva la montagna alta ed i terreni abbandonati. Gli operatori del settore turismo vendono poi questi luoghi “ingentiliti” da rovi e abbandono come paesaggi curati ai loro ospiti.
Il senso della pastorizia è un po’ questo. E la poesia che trasmettono dal loro placido pascolare è reale. Quella sì, la modernizzazione e l’avanzare del tempo, non l’hanno minimamente scalfita.