Dei cinghiali, delle loro devastazioni e di tutto lo zoo che non è stato gestito in Trentino

Da Michele Dallapiccola

Non sono soltanto i Grandi carnivori a dar cruccio a chi governa in Trentino.

Ne so qualcosa per esperienza diretta, considerata la feroce opposizione leghista che subii nel mio passato di amministratore provinciale in materia. I rappresentanti del Carroccio erano per me una costante. Nei luoghi dove fosse anche solo minimamente possibile cominciare a parlare del problema li trovavo come costante. Ne ricordo uno di loro, in particolare, tra i più accalorati. Un consigliere leghista, pure cacciatore, della Valsugana. Quando ancora parlava da oppositore, sembrava quasi avesse la bacchetta magica alla mano. Suggeriva soluzioni che di fatto sono arrivate solo in parte e comunque non hanno infine determinato i risultati promessi.

Ma riavvolgiamo il nastro di questo breve racconto per inquadrare meglio la questione.  Semplificando in maniera estrema possiamo raccontare ai lettori che il cinghiale in Trentino è ritenuta una specie non autoctona. Si tratta dunque un animale nei confronti della quale si possono praticare delle forme di prelievo cruento anche piuttosto articolate, nel tempo e nei modi. E’ regolamentata da norme che la Provincia gestisce in punta di fioretto. Cercano di ricavare sempre più ampie possibilità di prelievo rispetto a una comprensibile tutela che a suon di ricorsi la componente ambientalista e animalista cerca di esercitare. 

Il risultato di questo punto di equilibrio è che la Provincia di Trento offre un’ampia gamma di possibilità per gestire questo animale. Il tutto avviene grazie all’intervento congiunto di forestale ma soprattutto di azioni volontarie della componente venatoria. 

Senza entrare in particolari tecnici, il risultato è che nonostante tutto la specie prolifera in prosperità. E con essa si propagano i danni.

Nei giorni scorsi, ad esempio, abbiamo potuto registrare un’intensa attività distruttiva proprio in una zona della Valsugana.

Incomprensioni tra le istituzioni e la componente privata possono forse aver influito sul risultato. Fatto sta che nonostante sia aumentato il numero di animali prelevati, da parte della componente agricola e zootecnica, rimane il rammarico del dover constatare che i danni al proprio patrimonio produttivo non accennano a diminuire. 

La Provincia fa in modo che esistano dei ristori dei danni subiti. Si possono attivare anche delle opere di parziale prevenzione, ma la difesa è ardua e difficile da definire nel dettaglio.

L’astuto suide trova sempre la falla da utilizzare per arrivare a nutrirsi delle prelibatezze delle quali è ghiotto. Peccato che la parsimonia non sia la sua principale dote e così accade che per nutrirsi di 1 finisce per disfare 100. 

Poche pannocchie in cambio di…
2000 mtq di devastazione
Mais protetto? Allora radici per dispetto!

Un ecosistema delicato. L’equilibrio tra gli animali e la vita dell’uomo in montagna

Le immagini di questo breve scritto parlano da sole. Denunciano il fallimento di una politica gridata che doveva risolvere tutto in un solo lustro. Eppure no, così non è stato. Gli orsi continuano a morire di anestesia, i lupi prosperano più che mai, la presenza dei cinghiali è devastante, le drosofile sui piccoli frutti continuano a colpire. Eppure si fermano le trote fario nei fiumi.  

Sapete perchè? Biologia ed agronomia delle grida della politica se ne infischiano. Richiedono piuttosto competenza e dedizione. Che non si trovano su nessun palco a farsi fotografare né al mercato sotto un gazebo.