L’analisi dei voti del PATT alla camera e al senato? Eccola servita! 

Da Michele Dallapiccola

Come è andata con i risultati elettorali? A chi fa il mio mestiere nelle giornate come queste, la domanda scorre sui display dei device come un parossismo. 

E tocca raccontare il buono che c’è in un riconoscibile responso alle urne. Nonostante l’opinione personale di alcuni di noi ci avrebbe portato a fare altro, alla fine ci siamo impegnati tutti affinché il PATT raccogliesse un buon risultato. E così è stato, almeno rispetto al passato e alle aspettative.

Perché sul piano pratico il voto agli autonomisti non poteva portare a nulla di concreto. E infatti cosi è stato, pura testimonianza.

Ma far parte di un partito significa questo. Accettare le decisioni della maggioranza e rispettarle. Almeno fin quando risultino accettabili. Diversamente ognuno è poi (giustamente) libero di prendere la propria strada, come già molte volte è successo in passato. E ancora succederà.

Tornando alle impressioni sul voto, un paio di considerazioni, anche forti, ci stanno tutte. 

Il rammarico più grande deriva dal constatare che se il centrosinistra fosse stato unito avrebbe potuto portare a Roma 3 senatori. Uno per ciascuno dei tre seggi, lo dicono i numeri dello scrutinio. Le divisioni, questa volta più per colpa del mio, che di altri partiti, hanno portato a questo. Tant’è. 

Nel frattempo al PATT non è rimasto che provare a capitalizzare un risultato che a ben vedere è arrivato. Peccato che è frutto dell’unione di due partiti. Progetto Trentino ha partecipato attivamente e si è visto tutto. Ottenendo risultati soprattutto dove c’era un nome importante a trainare.

Ora è chiaro, come e quanto fossero molto più graditi i nomi in gioco al Senato rispetto a quelli dei candidati alla Camera. 

In particolare, sul collegio senatoriale di Rovereto ha pesato molto la promozione del vicepresidente della giunta provinciale, così come nel Primiero, molto ha contribuito la presenza di promoter di spicco della compagine facente riferimento a PT. 

Il risultato è matematica. Alla Camera, i voti sono quasi gli stessi computati nel 2018 quando gli autonomisti erano da soli. Dunque si può dire che per quanto riguarda la sua quota parte, il PATT abbia perso. In alternativa si può pensare che l’alleanza di PT non abbia portato nulla. 15.500 voti a 16 mila circa.

Al Senato le cose sono andate un po’ meglio. Da 16 mila voti circa sono passati a 24 mila circa. Un aumento del 50 % dovuto sia alla presenza di un altro partito, che ad un diverso appeal, specie delle due valide candidate donne: Roberta Bergamo e Patrizia Pace. 

Ora, come già raccontato ieri, il Partito si trova di fronte ad una sua fase di dialogo interno dove dovrà decidere con chi proseguire il suo cammino in vista delle provinciali del 2023.

Già oggi nei corridoi di piazza Dante Fugatti veniva dato per “morto che cammina” da qualche esponente (un po’ troppo focoso a dire il vero) dei suoi Fratelli d’Italia. Effettivamente nella campagna elettorale di stampo leghista non son serviti a nulla nemmeno i milioni distribuiti o promessi.

Tra tutti cito un significativo esempio. Il dato dell’astensionismo più forte si è registrato in Val dei Mocheni dove uno speranzoso giudicariese contava di comprare i consensi coi “contribute“. Il nesso non c’è ma il sillogismo sì: 20 milioni di € attribuiti alla Valle incantata hanno visto la metà degli aventi diritto al voto, andare a spasso anziché alle urne.

Se davvero la lega si trovasse in una situazione così difficile come fu quella di Rossi nel 2018, vuoi proprio che sia il PATT a salvarne le parti? Sarebbe a dir poco kafkiano.