Aiuto alla maternità delle lavoratrici nel settore privato. Perché la maggioranza provinciale rifiuta di accettare la nostra proposta?

Da Michele Dallapiccola

Rimpicciolita, invecchiata, con pochi giovani e pochissime nascite: così appare l’Italia vista attraverso la lente degli indicatori demografici. Ci restituiscono il ritratto di un Paese in forte declino, lontano dal tempo della crescita. Questo ce lo dice il CENSIS. 

L’età del primo figlio è sempre più elevata. In Italia è la più alta d’Europa. Nel nostro Paese, molto più che in altri Paesi europei, i giovani hanno grandi difficoltà a raggiungere un’indipendenza economica e ad iniziare una vita indipendente. Ciò porta a “rimandare” la realizzazione del proprio progetto di vita, così come la scelta di fare figli, fino alla rinuncia.

Del resto, dal milione abbondante di italiani nati nel 1964, attraverso una drammatica discesa, siamo sotto la soglia psicologica di 400 mila nati dello scorso anno. 

Grazie anche a particolari passate politiche familiari, il Trentino ha contenuto questo problema. Che in ogni caso comincia a farsi sentire anche qui. 

Per questo motivo, già nel 2019 come Gruppo PATT, abbiamo depositato un disegno di legge. Vogliamo spingere la Provincia ad attivare aiuti straordinari sulla natalità attraverso uno specifico strumento. 

Purtroppo, questo governo provinciale ha voluto lasciare macerare questo disegno di legge nei meandri delle Commissioni Consiliari per ben tre anni. Oggi, finalmente in Consiglio, si prefigge l’obiettivo di integrare e migliorare il sistema delle politiche strutturali, vigenti in Trentino, dedicate alla famiglia. 

Il fine in particolare è quello di introdurre misure che, accanto ai sostegni di carattere economico, producano effetti positivi per favorire l’aumento dei tassi di natalità, attraverso la conciliazione tra l’attività lavorativa e la cura della famiglia. 

La relazione nei paesi europei tra tassi di occupazione e livello di fecondità si è invertita. Negli ultimi decenni, è diventata positiva: più donne lavorano, più alto è il numero medio di figli per donna. 

Questo risultato suggerisce che potrebbe non essere la condizione di lavoratrice ad essere un ostacolo alla fecondità quanto piuttosto la mancanza di strategie di conciliazione lavoro-famiglia. Ci sono Paesi in cui mancano o scarseggiano le strutture per la prima infanzia, le politiche a favore della famiglia, le occupazioni lavorative flessibili e la collaborazione da parte dei partner nello svolgimento delle mansioni domestiche o nella cura dei bambini. Lì, avere un figlio, per la donna significa spesso abbandonare il lavoro, rinunciare alla carriera, o comunque vivere una situazione di grande difficoltà.

Per questo la nostra proposta normativa si pone l’obiettivo di estendere il trattamento di maternità vigente nel lavoro pubblico anche alle lavoratrici del settore privato. Prevede una integrazione al contratto collettivo. L’intervento dovrebbe essere pubblico in modo da non dover gravare sul datore di lavoro. Al quale, in cambio, si chiede di prevedere la sostituzione della lavoratrice in maternità, favorendo in tale modo l’occupazione.

E i costi? Con quelli di un solo bando “Carri Raccolta Mele” si potrebbero già coprire i primi tre anni. E con quelli di un altro concertone, altri sei.

Al fine di combattere la denatalità durante il Ventennio, le coppie con figli ricevettero incentivi economici. Proprio come quelli che per certi versi ha provato a scimmiottare questa giunta provinciale. Ma i dati parlano più che chiaro: più entrate al bilancio familiare, più figli, più figli e maggiore necessità di accudimento. Di ogni singolo specifico caso. 

Qui, oggi, noi abbiamo provato a proporre qualcosa per le lavoratrici del settore privato.