ALLEVAMENTO IN CRISI. ADESSO COMINCIANO A CHIUDERE ANCHE I CASEIFICI?

Da Michele Dallapiccola

È vero, della chiusura del caseificio di Cavareno si sentiva parlare già da qualche tempo. Fusione, ottimizzazione? Il dicastero al turismo trentino la chiamerebbe armonizzazione. È l’eufemismo che ha coniato per dire alle APT, specie le più piccole di farsi da parte e aggregarsi alle grandi. E in effetti, a onor del vero va detto che in tempi di crisi queste operazioni potrebbero avere anche un senso.

La questione è un’altra. Un caseificio è forse l’istituto rurale più storico e identitario che la cultura agricola popolare trentina possieda.

Prima delle mele, prima del vino, prima di tutto in Trentino c’erano le vacche. Anche prima della patata. Cancellarne anche soltanto uno rappresenterebbe uno schiaffo, anche morale, alla memoria di noi trentini.

Questa crisi, questi periodi difficili non possono, non devono fare soccombere agli eventi gli allevatori nella noncuranza e nell’inefficienza della Giunta.

Ma cosa si potrebbe fare allora?

Lo abbiamo detto molte volte e lo ripetiamo ancora. Si sospenda la normale programmazione di opere pubbliche. In particolar modo quelle non urgenti.

Si liberino subito in questo modo altri 10 milioni di euro da destinare al settore. La questione è troppo delicata per liquidarla con una nenia al microfono sciorinando i milioni stanziati. Gli allevatori sanno benissimo che quegli elenchi non sono altro che la misera riproposizione di quanto è sempre stato stanziato. O poco più. Anche perché se fossero stati così tanti e fossero stati spesi così bene non ci troveremmo in questa situazione incresciosa.

In questo momento sono 6 o 7 (e gli altri 10 non stanno cmq benissimo) i caseifici che potrebbero non vedere il prossimo Natale. Allora lo ripeto. Una nuova variante, un ponte, una piscina, uno stadio possono aspettare. Se si ritarda di un anno o due la loro realizzazione non succede nulla. Invece, stalle e caseifici, una volta chiusi non li riaprirà mai più nessuno.

E a quel punto con sempre meno persone che lo coltivano, che territorio venderemo ai nostri turisti, ma soprattutto, che storia racconteremo ai nostri figli?