Alcune attività sono più pericolose di altre. Per questo l’esercizio della sicurezza non è mai troppo.

Da Michele Dallapiccola

La straziante fine di alcune persone nel fiore della loro vita e nell’esercizio delle loro attività, devono insegnarci qualcosa.

Ci sono fatti e persone che sui social sarebbe meglio non mettere mai. Nel web non vigono norme particolarmente severe e quelle poche riconosciute sono pure poco rispettate. Ma una sorta di etica e di bon ton nei rapporti tra se stessi e la rete, è un fatto che si è cercato di codificare in più di un’occasione. Perché li, nel web, al netto di crimini che si riversino poi nella realtà, ognuno risponde soltanto alla propria di sensibilità considerando ammissibile alcune cose e abominevoli altre. 

Ad esempio, avevo dei colleghi di partito abituati ad utilizzare l’immagine della propria figlia minore per acchiappare like. Oppure altri che mostrano la propria partecipazione ai funerali o al cimitero. Difficile capire il senso inusuale di questo tipo di rappresentazioni che io rifuggo accuratamente.  Forse uno psicologo potrebbe spiegarle col tentativo di mostrare il proprio lato più intimo nell’estrema rincorsa al consenso e ai like attraverso l’esibizione dei propri sentimenti, della propria (poco credibile) spontaneità?. Un po’ leghista come stile di sicuro, lo è. Non per niente il loro Capitano, nei social per eccellenza, in moltissime occasioni si è fatto postare in immagini che lo riproducevano con Vangelo e rosario in mano.

Per questo è raro che io celebri affetti o addirittura i morti sui social. Lo ho fatto solo in qualche occasione, quando ne ho davvero avvertito una stretta vicinanza di tipo affettivo o sentimentale. 

Ed è per questo che oggi lo farò. 

Parlerò della straziante notizia di una collega morta schiacciata da una vacca in una stalla di Verona. È scattato in me un fortissimo senso di immedesimazione. QUI IL LINK DELLA TRAGEDIA

Avevo anch’io 24 anni quando iniziai a lavorare. Sono state tante le occasioni di finire schiacciato o calciato da qualche grosso animale, finite, fortunatamente, senza mai riportare infortuni particolarmente gravi. 

Inutile disquisire sul perchè o il per come è andata la tragedia. L’unica cosa da  esprimere, qui secondo me, è un grandissimo senso di cordoglio e di vicinanza per lo strazio che ha colpito la dottoressa e i suoi cari. 

L’età mi riporta però anche ad altri pensieri. All’operaio della Val di Ledro, morto in un cantiere ieri. È il terzo incidente che in questi giorni occorre a persone così giovani. È infatti di poche ore fa, anche la notizia della duplice tragedia della Val di Pejo. In quel caso il giovane è coinvolto durante l’esercizio di una sua grande passione. 

A questo punto sarebbe umano sbottare. La tendenza sarebbe quella di chiedere di mettere in atto nuove norme che proteggano ancora di più, da tutto e da tutti. Blindando i cantieri. O abolendo la caccia, ad esempio. In alternativa far girare tutti i cacciatori con un giubbotto arancione fluorescente. Oppure, far catturare qualsiasi vacca dentro a un travaglio prima di permettere al professionista che la deve visitare di avvicinarsi. Ma poi, chi protegge il contadino mentre cattura la vacca per proteggere il veterinario? Tutto troppo bizantino? Impossibile da attuare direi, perché c’è poco da fare; alcune attività umane sono più pericolose di altre.

Allora usiamo momenti come questo per spiegare il perchè delle arzigogolate norme antinfortunistiche che tanto ci fanno imprecare quando le vediamo applicate nei momenti di serenità. 

Oggi invece è il momento del lutto e non certo quello delle recriminazioni. E di fronte a questa enorme tragedia, il sacrificio di questi ragazzi serve proprio a spiegare che qualche fastidio burocratico-normativo in più, vale ben qualche vita perduta in meno.