Bilancio provinciale: mancano 500 milioni. E adesso quali sono le priorità?

Da Michele Dallapiccola

Il bilancio provinciale non è un documento che si prepara a sorpresa. I suoi contenuti non si rivelano all’amministratore come il contenuto dell’uovo di Pasqua. Quello che aprì alla fine del pranzo e sai solo dopo il pugno al cioccolato cosa ci trovi dentro. 

E dunque che dopo il 2023, la situazione finanziaria della PAT, sarebbe mutata al ribasso era cosa più che nota.

Oggi siamo di fronte ad uno scenario finanziario straordinario ma non certo imprevisto. Gli accordi Stato-Provincia tanto criticati proprio dalle stesse opposizioni che oggi sono al governo trentino, stanno per entrare nel vivo dei loro effetti peggiori. Ve lo ricordate il Patto di Milano del 2009 firmato dall’allora ministro Tremonti con Dellai? E il Patto di Garanzia del 2014 tra Renzi, Kompatscher e Rossi? Poi c’è stato qualche spazio conquistato dalla lega per ritardare l’entrata in vigore del nuovo assetto finanziario conquistato a causa del Covid.  

Pacta servanda sunt

Prima o poi tutti i nodi vengono al pettine. E i dati di bilancio modificati dai trasferimenti allo Stato, dalla situazione previsionale di PIL e relative entrate determinate sul bilancio provinciale, sono comunque piuttosto prevedibili. Quantomeno dagli addetti ai lavori e in ogni caso con largo anticipo rispetto al momento attuale. Chi tra l’opposizione aveva già avuto ruoli di governo, conosceva questa situazione e ha da sempre trovato le promesse della lega estremamente disassate rispetto alla effettiva fattibilità delle cose. 

Moltissimi impegni per opere pubbliche nei vari territori sono da subito sembrati impossibili da far collimare con l’effettiva realizzabilità operativa.

Adesso, come dicevamo sopra, dopo una legislatura passata a promettere sta per arrivare l’ultimo anno, l’ultima occasione di provare a realizzare qualcosa. Con qualche beneficio di giustificazione. Infatti, per onestà intellettuale nei confronti di chi governa va riconosciuto che la burocrazia che affligge oggi la pubblica amministrazione è letteralmente asfissiante. Non di meno, la speculazione internazionale, oltre alle oggettive problematiche legate al conflitto russo-ucraino ha determinato una situazione congiunturale mai vista prima soprattutto a causa dell’aumento dei prezzi di energia e materie prime.

Però non si può ignorare che la lega questa situazione l’ha ignorata e bistrattata. Come nulla fosse ha girato per anni all’impazzata nelle varie valli del Trentino a dispensare promesse di impegni milionari mostruosi.

Le promesse infrante.

Solo a Cavalese per il nuovo ospedale ne servirebbero 280. Per altro in luogo dei 40 sufficienti per la ristrutturazione di quello attuale. Per non parlare dei 70 milioni che dovrebbero servire a sistemare lo stadio del ghiaccio in Pinè. 

A certificare l’attenzione politica della lega come fortemente influenzata dagli assessori giudicariensi, (e al resto del Trentino ci penserà qualcun altro) ci sono l’attesissima variante di Pinzolo, il rifacimento della galleria di Ponte Pià, la Variante di Ponte Arche e quella di Molina di Ledro. Insieme alle opere citate sopra si va ben oltre il mezzo miliardo di euro. Casualmente corrisponde a quello annunciato da Fugatti quale ammanco al bilancio provinciale.

Naturalmente non c’è nesso tra le due cifre. La provincia inoltre durante il governo Rossi aveva migliorato la propria capacità di indebitamento. Che oggi potrà tornare utile ad esempio per lo stadio del ghiaccio di Piné. Con tutte le sue implicazioni positive ora, di grande preoccupazione per la sostenibilità nel futuro. Per non parlare di tutte gli impianti a fune sparsi per il Trentino promossi, promessi e mai davvero ragionati.

Sul resto c’è poco da discutere. Specialmente per quanto riguarda le varianti stradali, sono attese da anni; promesse e ripromesse con pesante intensità anche in tempi recenti. La cosa da capire è il grado di priorità che può avere un nastro d’asfalto più largo rispetto alla crisi economica delle famiglie.

Perché di fronte di una sanità in frantumi, ad un’economia sociale alla canna del gas, sarà davvero il caso di interrogarsi quanto queste opere manifestino carattere di urgenza rispetto all’attivazione di sostegni economici generati dai problemi nominati nelle righe qui sopra.