Sci alla mano e previsioni meteo all’occhio. Ma quanto la dovremo sudare l’apertura delle piste quest’anno? 

Da Michele Dallapiccola

E di sudore ne parliamo sia in senso metaforico che in senso reale, viste le previsioni, sentito il caldo dei giorni scorsi..

Per noi amanti dello sci questo clima pazzo provoca una doppia tristezza. La prima è quella determinata dal senso etico di avvertire la responsabilità per un pianeta che si sta surriscaldando. Nessuno di noi è contento delle notizie, dei dati raccolti dagli scienziati che ci raccontano di uno stravolgimento planetario. Le conseguenze alle quali saremo sottoposti sono ancora del tutto imprevedibili. Ma in questo momento, l’argomento è così vasto che preferirei soprassedere. Perché sarei superficiale in maniera irriguardosa nei confronti della complessità di un argomento così grave. 

Questa piccola riflessione è giusto dunque che si focalizzi quantomeno senza eccessive velleità, sul livello locale. 

A risultare incerta non sarà certo la regolare apertura delle piste. Per quella, neanche quest’anno dovremo preoccuparci più del solito. Il freddo necessario e sufficiente arriverà sicuramente tra poco. E dunque le piste saranno innevate puntualmente come ogni anno. Non dobbiamo dimenticare che privati e Provincia hanno da sempre impegnato investimenti troppo ragguardevoli anche nel recente passato per farci temere il peggio che uno sciatore appassionato possa incontrare.

Anche quest’anno ci presenteremo dunque puntuali, al canonico appuntamento di fine novembre con l’apertura delle piste. Con qualche settimana di anticipo rispetto al classico festivo di Sant’Ambrogio meneghino. Ne sono sicuro.

Ma il punto è un altro. 

Penso che siamo tutti assolutamente d’accordo che l’economia di montagna specialmente in quota si basi sul turismo. Si badi bene, connesso alla zootecnia, all’allevamento e allo sfalcio e pascolo dei prati. E che questo non possa prescindere dalla promozione e dalla pratica dell’attività sulla neve. E’ questo dunque, un comparto integrante della nostra economia, ramo del settore industriale adattato alle nostre montagne. 

Però non si può neanche far finta di niente. Cioè non possiamo arrivare sguarniti di idee a date cardine per l’Unione Europea. Ci saranno momenti, ad esempio, dove saranno prese decisioni epocali. Pensiamo a quella dove a partire dal 2035 sarà impedita la commercializzazione di vetture a motore termico. La necessità di ridurre le emissioni inquinanti provocherà una conversione industriale di proporzioni continentali ma vista prima. 

Veniamo allora al livello provinciale e alle scelte da fare per il suo futuro prossimo e anteriore. Investimenti come quelli attesi dalla Panarotta e da Bolbeno, proporzionalmente al comparto al quale si riferiscono possono essere considerati di piccola entità. Al punto che crisi a parte, trattandosi essenziale di luoghi di avviamento allo sci, potrebbero venir sostenuti anche di più da parte di chi poi, quegli sciatori allevati nel vivaio, li fa divertire e ci guadagna sopra: i grandi caroselli. 

Ma accanto ai ragionamenti necessari per risolvere questo complesso problema amministrativo penso che sia altrettanto necessario avere un piano B. Un progetto dove sia rappresentato il Trentino e il suo rapporto con la neve di domani, al più presto possibile.  

Cosa diavolo inventarsi di alternativo per tenere in piedi un comparto industriale così ampio e articolato sulle nostre montagne è difficile da dire. Certo il Trentino con tutta la sua forza innovativa di ricerca, il suo comparto universitario, i suoi istituti prestigiosi, che tipo di risposta può dare è una domanda così complicata? 

Se al disagio popolare che gridava “non ci sono medici” questo governo Provinciale ritiene di aver risposto con l’Università di Medicina, forse dovrebbe cominciare a pianificare su che tipo di risposta dare a grido delle imprese di montagna che stanno gridando “e quando non ci sarà più neve”? 

Non è un problema nostro ma dei nostri figli sì. A qualcuno importa questa cosa? A noi sì.