L’identità di una terra compresa dal linguaggio che parlano i suoi edifici storici.

Da Michele Dallapiccola

Che la Val dei Mocheni sia un luogo di notevole spessore storico culturale è un dato di fatto. Per secoli sottovalutato o quanto meno poco compreso. Quell’isola (anche) linguistica è stata e continua ad essere un valore perché ha innanzitutto preservato ciò che era. Così in una gita domenicale mi son perso ad osservare dei particolari quasi ordinari per il camminatore distratto quale son io normalmente. E scattando qualche foto, ho avvertito il bisogno di elaborare la considerazione qui a seguire, mi si perdoni, in maniera forse fin troppo semplicistica.

Sono partito dall’osservazione dei declivi abbandonati che risalgono al Sette Selle. Scorci per lungo tempo intonsi scossi soltanto dal recente flagello di Vaia. Eppure han visto scorrere così dei secoli. Infischiandosene per lungo tempo di contaminazioni e incroci di culture. Fatti che viaggiano su molteplici canali compreso ad esempio quello dell’architettura e dell’arte delle costruzioni. E più si sale di quota meno queste contaminazioni hanno preso piede proprio  perché le zone più impervie sono state abbandonate per prime lasciando spesso certo ruderi o edifici abbandonati ma non per questo poco interessanti o pregni di valore dal punto di vista culturale e antropologico.

Nella tipologia costruttiva un minimo comun denominatore

E’ una condizione, questa, abbastanza comune a tutto l’arco alpino pur con fortissimi accenti stilistici locali. E così le case da mont, i tabià, le tiede, le téde, i barchi, trovano gli stessi stilemi in valli (a passo d’uomo) anche piuttosto distanti tra loro. Sono il sale di una cultura che fu, il sapore di un territorio un tempo molto più abitato di oggi. Quell’abbandono del loro uso agricolo oggi si recupera anno dopo anno a scopo turistico o abitativo stagionale. Un nuovo turismo o, in piccola parte, un nuovo modo di vivere la montagna. Purché sia tutto all’insegna della sostenibilità. 

Ci tenevo a fare questo umile e forse anche ridicolo piccolo ragionamento per raccontare il Trentino che ci piace. Quello che la politica deve preservare con dentro ciò che la politica deve preservare. Un giro di parole spero più efficace che chiaro per definire un punto programmatico di ogni schieramento politico che si rispetti. Regole facili, semplici e di immediata applicabilità per chi vuole preservare questa forma di cultura prima ancora che di architettura e assetto urbanistico.