Riflessioni sul calo delle nascite nella nostra società. Tratte liberamente da una chat del nostro Movimento. 

Da Michele Dallapiccola

Sono molto attivi I soci fondatori del nostro Movimento. In queste ore, una loro chat si è casualmente trovata a far da teatro di interessanti discussioni nell’ambito della denatalità. Mi hanno così colpito alcuni passaggi della loro discussione digitale che non ho resistito alla tentazione di riportarne qui di seguito almeno una piccola parte (ho modificato quel minimo indispensabile per poter seguire il filo del discorso). Lo stile dunque è piuttosto colorato – ci perdonerete – ma si tratta di brani raccolti da W.App che ci sembravano davvero troppo interessanti e genuini per lasciarli soltanto lì.

Riporterò iniziale del nome e genere della persona che parla per permettere un miglior comprensione del pensiero. 

C. uomo

Abbiano parlato del calo delle nascite considerando che si tratta di una di un problema multifattoriale. Un ruolo forte però lo riveste anche una società che ritarda l’ingresso nel mondo del lavoro. Porta a ragionare su un progetto di vita solo dopo i 30/35 anni, età in cui le probabilità del concepimento sono ridotte drasticamente. Negli anni ’60, ai tempi del boom di nascite invece, le coppie si formavano prima dei 30. Bastava un solo reddito familiare e volendo ci si poteva dedicare anche all’accudimento dei figli. 

Dar seguito ad un desiderio di natalità oggi ormai non è più soltanto una questione di volontà. E il tema della fertilità non è affatto secondario. I nostri genitori si sono sposati a 20 anni e sono diventati genitori a 22. Adesso a 22 sei appena uscito emotivamente dall’adolescenza, a 24/25 finisci gli studi. Poi inizia un lungo calvario di precariato sottopagato. Sei semi-stabilizzato quando arrivi alla soglia dei 35. Qualsiasi ginecologo potrebbe poi spiegare meglio di noi quali sono le conseguenze. 

N. donna

Insomma, arrivi a quell’età in cui realizzi che l’orologio biologico è andato avanti, diventa difficile riuscire a diventare genitori, si prova la Procreazione Assistita poi la strada dell’adozione. E’ tutto molto complicato e il tempo passa. Poi mettiamoci la crisi in cui viviamo, la crisi dell’istituzione famiglia, e ce ne sarebbero ancora. il discorso dovrebbe essere abbracciato globalmente

A. donna

Quando parliamo di mezzi economici spesso pensiamo ai soldi, in realtà il concetto è molto ampio. Chiediamoci ad esempio cosa ferma una donna benestante dal fare figli? Forse la perdita del riconoscimento sociale, l’annullamento della sua persona, il rischio di vederla solo e soltanto come madre e quindi il senso di colpa che deriva dal perseguire le sue aspirazioni anziché la prole? C’è molto giudizio (o pregiudizio) sull’operato della donna. Donna che un tempo poteva/doveva essere la regina della casa e la madre/moglie perfetta, ma che oggi (grazie a Dio) in quel modello non va più bene. Il giudizio però è duro a morire, pesa, insieme alla paura di non poter essere libere di inseguire i propri sogni e desideri senza sentirsi colpevoli. Insomma, se una donna benestante fa figli e vuole comunque lavorare viene giudicata perché affida i figli alla baby sitter invece di crescerli. Quindi la questione economica pesa prima ancora di quella della fertilità. Se noi avessimo un sistema che consente alle donne di non esser tagliate fuori dal mondo del lavoro, non essere penalizzate, si potrebbe sfruttare il momento d’oro della fertilità femminile, salvando il desiderio di maternità e salvaguardando la loro possibilità di lavorare e realizzarsi professionalmente.

Dunque: se il problema fosse l’educazione di base che si sta dando alle nuove generazioni? Se mancasse l’esempio da parte nostra? Ecco, forse c’è da lavorare anche sotto quell’aspetto. Se si diventa maggiorenni a 18, forse è il caso di allentare la presa e renderli sempre più autonomi, dare loro gli strumenti perché possano farcela da soli. Questa è una sfida per i politici secondo me.

M. donna

…sicuramente. E in questo senso ho detto che il discorso deve essere globale, la responsabilità non può essere solamente in capo alle famiglie, né queste possono addossare al loro esterno. Questa è la vera sfida, investire a tutto tondo, in termini di risorse economiche ma anche umane, in termini di spesa di tempo e energie.

E’ un’impresa enorme, ma è arrivato il tempo in cui non si può più procrastinare.