Un fine anno in giro ai due laghi. E qualche caffè con gli operatori dell’Altopiano.

Da Michele Dallapiccola

Tanto è bastato per ascoltare scoramento, opinioni ma anche coraggio e fiducia per quanto sta accadendo in queste ore quassù. 

Si parte dalle critiche alla riforma del turismo. Mai davvero digerita dai territori cd “minori”. E come non essere d’accordo su qualcosa che ha rinforzato i grandi caroselli del turismo trentino lasciando irrisolti tutti i problemi che gravavano sui territori più in difficoltà. 

E questo a mio modesto avviso è accaduto a causa dell’imperizia politica di questa amministrazione provinciale. In più di un’occasione ci siamo permessi di segnalare che il comportamento scenografico di questa giunta è molto utile a raccogliere consenso spicciolo. Invece dedicarsi con cura alle piccole cose richiede tempo e impegno. Dentro ad un ufficio o accanto a chi gli atti li deve predisporre. Sono i luoghi lontani dalla ribalta dei social e della stampa. Ma sono quelli dove davvero si portano a casa i risultati.

Non sapremo mai quanto la vicenda dell’eventuale “scippo” dello stadio del ghiaccio sia legata a incapacità gestionale amministrativa o a sfortuna. Il risultato è che più passano le ore, più questa opportunità per l’altipiano sembra lontana.

E il pensiero vola allora sul piatto delle mancate occasioni. Non più solo per l’Altipiano ma per un’intera Comunità.

Cosa rimarrà alla zona della Valsugana dell’amministrazione leghista.

Al collegio elettorale che consacrò un rampante Fugatti alla gloria della politica nazionale? E all’unico consigliere di maggioranza? Quello onnipresente ad ogni taglio di nastro, coppa o targa che sia bell’e pronta da consegnare?

A partire dal basso della Valle ricorderei una bella promessa di asfalto. Tanto, tantissimo. Trenta e passa milioni di asfalto utile a migliorare di un paio di minuti il tempo di percorrenza dei veneti che devono attraversare il Trentino. Ma non si farà subito, si è scelto il chissà quando (e a mio avviso meno male). Ma di bonifiche agricole e recupero di terreno abbandonato nemmeno l’ombra.

A risalire il Brenta lungo la valle vengono in mente soltanto opere incagliate. Via la ristrutturazione delle Terme di Levico. Per non parlare del rilancio del Grand Hotel Imperial.  A rischio la riapertura di quelle di Vetriolo. E per la stazione sciistica della Panarotta,? La lega aveva aperto la legislatura con la promessa di un bacino di innevamento e l’ha terminata assistendo alla sua chiusura! E ad arrivare in Pinè? Quattro anni di promesse in trepidante attesa del Grande Oval. E nel frattempo – di chi sia la colpa non si sa – il rifugio Tonini è andato metaforicamente in fumo per una seconda volta.

Fortunatamente quegli alcuni operatori che ho incontrato ieri non sembravano rassegnati. Vogliono bene alla propria terra e ci credono. Rilanciavano raccontandomi di che cosa secondo loro ha veramente ancora bisogno questa bella località. Estetica urbanistica, abbellimento urbano, servizi ai turisti, alle famiglie e a chi sceglie la località per il senso di pace che trasmette. Attraverso una infrastrutturazione leggera ma diffusa del territorio.

Ci sono ancora fermate di trasporto pubblico che scaricano le persone al buio sul filo di una statale senza protezioni. Mancano marciapiedi, attraversamenti pedonali, qualche spiaggia in più, qualche divieto in meno. Percorsi pedonali, per le bici, per l’equitazione.

Secondo OIPA al 4 febbraio 2022 risultano iscritti nelle Anagrafi regionali degli animali d’affezione 13.209.745 cani.

E poi la mai nata e sviluppata connessione alla montagna selvaggia del Lagorai sul quale Pinè e Bedollo hanno una finestra aperta. Con prodotti turistici dedicati quali pacchetti turistici, infrastrutturazione leggera dedicata e adeguata promozione. 

A questo punto, (benché queste considerazioni cominciano a serpeggiare anche in loco) le cose piccanti dal punto di vista politico le dico io, pur con grande rammarico. Dalle Giudicarie, in questa zona sono arrivati assessori a raccogliere consenso e adesioni. Poi però soldi e opere sono andati lì (tra quelle poche realizzate pensiamo ai 6 milioni – pur ben spesi – per l’impianto scuola di sci di Bolbeno). 

Stridono al paragone del nulla di fatto, nella zona dove hanno tesserato entusiasti sostenitori e colpevolmente assistito a desolanti chiusure o mancati risultati.