La melicoltura. Un settore dove tutto va bene?

Da Michele Dallapiccola

Due passi a Fiorinda, la bella manifestazione in bassa Val di Non in questo scorso fine settimana, sono stati più che sufficienti per farsi un’idea delle principali preoccupazioni del settore melicolo. 

Un luogo comune di noi trentini è quello che vede il melicoltore professionista come un imprenditore impegnato, certo, ma anche piuttosto fortunato. In effetti, osservato dal piano nazionale, il settore ha regalato all’economia trentina ben più d’una soddisfazione. Senza trascurare che al comparto la politica locale ha da sempre dedicato una tensione quasi parossistica.

Eppure se vogliamo cercare (neanche tanto) il pelo nell’uovo alcune questioni “storiche” sono in realtà rimaste inevase.

Non tutte le mele trentine provengono dalla Val di Non. E di conseguenza non sono eguali i bilanci. Per varie conosciute ragioni. Inoltre, la melicoltura in generale è in costante tensione alla ricerca di una sostenibilità da sempre inseguita a fatica.

Fortunatamente, la proverbiale affidabilità e qualità del settore hanno fatto la loro parte. Quest’anno poi, l’export ha drenato prodotto, pare, molto bene. 

Gran parte del settore gode tranquillità all’ombra di un sistema assicurativo mutualistico, padre di tutti gli ombrelli, panacea di ogni male sempre più di stagione. 

Riaffiorano, mai sopite le polemiche (ovviamente del mondo non agricolo) riguardanti gli aspetti ambientali. Il sistema tampona (a fatica) le tante preoccupazioni. FEM e APOT fanno la loro parte ma saranno sempre più i consumatori ad orientare scelte e capacità produttiva.

Intanto il sistema è sempre più preda della schizofrenia più acuta. Il cliente cerca perfezione nel carrello della spesa ma quando è fuori dal supermercato vorrebbe un mondo , naturale, privo di chimica, praticamente preistorico nella sua condizione organica.

I guai per il futuro dell’ortofrutta non solo nonesa, non si fermano però soltanto all’eterna battaglia tra chimica e razionalità.  C’è un aspetto grave e prepotente che è emerso in tutta la sua sostanza in questo tanto recente, quanto drammatico, periodo di siccità. 

L’approvvigionamento idrico. Un tarlo sempre più macroscopico 

Alla questione, questa legislatura, diciamocelo pure, regala una conclusione con poco di fatto. Gli impegni progettuali attualmente in campo sono tutti caricati sul PNRR. La cui solidità finanziaria, costantemente messa in discussione a livello nazionale ed europeo, non permette certo sonni tranquilli. Quel poco che è arrivato o che è stato promesso arriva giusto a sfiorare la soddisfazione delle reali necessità.

Mancano bacini, interconnessioni e un Piano completo noneso e provinciale. La PAT dovrebbe  offrire anche poche ma solide certezze trentine.  Invece siamo ancora qui a inseguire abbondanti ma fantasiose promesse nazionali. 

Eppure la Giunta Provinciale continua a lanciare segnali che per le cose che le interessano i fondi ci sono tutti. A a suon di bollettini Stampa, costati fior di quattrini dei contribuenti, è stato fatto recapitare  ad ogni famiglia del Trentino il piano strade di questa amministrazione.  Un libro dei sogni da un miliardo e passa di euro. Praticamente quello che dovrebbero stanziare i prossimi quattro presidenti della provincia nei loro corrispondenti prossimi quattro vent’anni di governo. 

Ecco, trovo assai disdicevole che in tutto questo bailamme di promesse, per finanziare bacini di accumulo e sistemi di irrigazione, si invochino fondi provenienti da Roma. 

A sto punto c’è da sperare che il bollettino di promesse delle opere stradali di cui sopra, non arrivi fin laggiù. In maniera molto secca (ma anche logica e sensata) il Governo ci potrebbe indirizzare a trovare questi soldi nel “miliardo e trè” di strade, viadotti e gallerie promessi dal caro Fugatti. Tra una variante mai partita e una Valdastico mai riuscita, qualche bacino o impianto irriguo ci sarebbe già stato.