Farm to Fork: parla come mangi

Da Michele Dallapiccola

Altrimenti succede come alla giunta provinciale trentina. Da tempo narra di una prospettiva positiva per l’agricoltura trentina grazie a questo piano di sviluppo europeo dove non meglio precisati finanziamenti porteranno alla nostra Provincia vantaggi inenarrabili. 

Farà bene prendersi il tempo di visionare la clip video allegata. La situazione della zootecnia europea presenta notevoli profili di similitudine alla condizione che manifesta il Trentino nonostante la sua rinomata condizione orografica. 

La nostra zootecnia, piegata dal prezzo del latte “europeizzato” e da modelli di sviluppo proposti dalla politica, ha cambiato volto specialmente negli ultimi 40. Ha assunto una piega che allo stato dell’arte appare irreversibile. Per questo le esternazioni della giunta provinciale sembrano particolarmente preoccupanti. Distaccate dalla realtà, proponenti modelli di sviluppo ormai assai difficilmente perseguibili. Peggio ancora se costrette da questa strategia di aiuto economico comunitario.

Quando sentiremo utilizzare questi termini inglesi che fan tanto belli (anche) i politici nelle interviste in “tivvù”, pensiamo ai nostri imprenditori agricoli. La giunta propone una bellissima strategia.

Peccato dovrà passare attraverso il loro portafoglio.

A seguire una sintesi di cosa è accaduto su LA STAMPA del 25 marzo 2021

Gli allevatori europei contro Bruxelles: “I troppi paradossi della Farm to Fork ci penalizzano”

L’appello: la strategia deve valorizzare il nostro modello che ha ridotto le emissioni e garantisce posti di lavoro, ridurre la produzione di carne nell’Ue significa importarla da paesi con stalle meno sostenibili

Gli allevatori europei contro Bruxelles: “I troppi paradossi della Farm to Fork ci penalizzano”

MAURIZIO TROPEANO PUBBLICATO IL 25 Marzo 2021  16:03

Ridurre la produzione di carne in Ue per importarla da paesi con zootecnia meno sostenibile. E’ uno dei «nove paradossi della strategia Farm to Fork» messi in evidenza dal settore zootecnico europeo che chiede alle istituzioni europee di utilizzare il Green Deal per «valorizzare i risultati raggiunti dagli allevamenti europei in termini di riduzione delle emissioni (il 7,2% del totale in Ue rispetto a una media mondiale del 14,5%), efficienza (superfici costanti negli ultimi 60 anni a fronte di una popolazione europea cresciuta di 125 milioni di individui) e integrazione sociale (posti di lavoro, tradizioni gastronomiche) del continente». Per Giuseppe Pulina «la sfida è nella ricerca, nell’innovazione, nella tecnologia, per garantire una produzione sufficiente a rispondere alla crescente domanda mondiale di cibo impiegando meno risorse».

Pulina è il presidente di Carni Sostenibili, l’organizzazione italiana che riunisce le associazioni che rappresentano i produttori di carni e salumi, che insieme a European Livestock Voice ha lanciato la protesta con una serie di video lanciati in Belgio, Italia, Francia, Spagna, Germania, Portogallo e Polonia. Nei video appelli si sottolinea «la necessità di tutelare il settore per non essere nelle condizioni di dover importare da paesi extra europei, con evidenti contraccolpi all’economia e all’ambiente, considerando anche l’interconnessione della zootecnia con numerose filiere strategiche, alimentari e non (carne, latte, uova, pelletteria, cosmesi, biomedicale, fertilizzanti naturali, petfood, biogas e biocarburanti)». Serve anche una «garanzia sul benessere animale la cui normativa è tra le più all’avanguardia e complete al mondo» tenendo conto della «stretta relazione fra l’allevamento di bestiame e minor uso dei fertilizzanti chimici». E poi è necessario salvaguardare anche i posti di lavoro («ogni allevamento garantisce 7 posti di lavoro) e valorizzare carne e  salumi come «patrimonio gastronomico e culturale». Ma si guarda anche al futuro. «Nel 2050 circa il 70% della popolazione mondiale vivrà nelle aree urbane e solo una piccola percentuale del rimanente 30% si occuperà della produzione del cibo necessario per sfamare chi vive in città. È facile, quindi, intuire i rischi a cui andrebbe incontro l’Europa se calassero le rese dell’attività zootecnica e di quella agricola ad essa collegata». 

Qui a seguire l’elenco dei nove paradossi della Farm to Fork, che riporto come considerazioni di contesto con le quali mi trovo assolutamente d’accordo.

1 – Non si da adeguata considerazione al valore della carne come alimento per lo sviluppo dell’essere umano.

2 – L’uso del suolo: sono in molti a credere che gli allevamenti prendano il posto a colture e pratiche agricole. L’uso del suolo “è rimasto costante per le attività di allevamento negli ultimi 60 anni” mentre la popolazione europea è cresciuta di 125 milioni di individui.

3 – Ambiente. Spesso l’allevamento, soprattutto intensivo, viene considerato responsabile di un grande quantitativo di emissioni di CO2 nell’atmosfera, mentre in Europa rappresenta ancora il 7,2 per cento di emissioni di gas a effetto serra, meno della metà della media mondiale (14,5 per cento). Gran parte delle emissioni deriva dall’uso di combustibili fossili impiegati nel trasporto e nelle industrie.

4 – Aspetto economico. La strategia europea suggerisce un progressivo ridimensionamento del settore zootecnico in Europa e questo potrebbe costringere il Continente a importare sempre più carne dove ci sono regole sul clima meno stringenti ma senza contribuire nei fatti a una maggiore sostenibilità. 

5 – Problema dell’occupazione. Ogni allevamento garantisce posti di lavoro in aree rurali. Senza allevamenti e con il progressivo spopolamento delle aree si andrebbe incontro a nuove perdite occupazionali.

6 – Benessere animale. La normativa europea è attualmente tra le più all’avanguardia e dunque costringere a importare carne in Europa pone seri dubbi che il benessere animale venga tutelato allo stesso modo anche altrove.

7 – Riduzione dei Fertilizzanti. Tra gli obiettivi della Farm to Fork, la Commissione vuole ridurre del 20 per cento l’uso di fertilizzanti chimici, ma esiste una stretta correlazione tra fertilizzanti e l’allevamento di bestiame che consente l’impiego di concime naturale al posto di quello chimico. 

8 – Dimensione gastronomica e culturale della carne. Carne è anche cultura. Questa rischia di essere compromessa scoraggiando l’uso del prezioso alimento.

9 – Sicurezza e approvvigionamento alimentare per la popolazione mondiale in continua crescita. Stimata dalla FAO in aumento di 2 miliardi nei prossimi 30 anni, nel 2050 circa il 70 per cento della popolazione vivrà nelle aree urbane. Solo una piccola percentuale di popolazione si occuperà della produzione agricola, con il rischio del calo della resa delle attività zootecniche e di quella agricole, strettamente collegate.

Chiedo venia per aver forse tediato il lettore con argomenti forse troppo di nicchia. Va considerato però che in Trentino, la zootecnia gestisce anche il paesaggio. E’ un patrimonio a disposizione di ospiti e popolazione. E’ patrimonio di tutti i trentini, anche di quelli che di animali, non ne allevano.