L’allevamento trentino da i numeri?

Da Michele Dallapiccola

Tranquilli! Non è impazzito nessuno, è solo un po’ di tempo che voglio commentare con voi alcuni dati del settore.

Attraverso un’interrogazione, ho fatto predisporre un estratto che osservasse l’evoluzione dell’allevamento trentino in questo iniziale stralcio di secolo. Il primo ventennio degli anni 2000. E’ un periodo interessante dove la PAC entra nel suo vivo a partire dal 2003 con un  sistema simile a quello che troviamo oggi. Sempre in quell’anno la Provincia vara la sua legge cardine di riordino del settore. La numero 4 del 2003, appunto. Non furono questi provvedimenti a far invertire marcia al decremento iniziato in maniera decisa già vent’anni prima, cioè sin dagli anni 80. 


Con un po di invidia, oggi guardiamo al vicino Alto Adige. Lì le cose non sono andate diversamente. In questi ultimi 30 anni, le vacche sono più che raddoppiate rispetto a noi. Ma il focus è sul Trentino e degli aspetti critici di questo confronto ne parleremo più in là.

Perdonerete anche la lettura forse troppo semplicistica di questi numeri. Cercheremo di ricavarne auspicio ed indirizzo per capire dove e come si possa migliorare il Trentino e la sua zootecnia. 

 

I numeri dell’allevamento.

48.000: sono i bovini un patrimonio la cui consistenza dal 2000 è rimasta tendenzialmente stazionaria. 

37.000: sono gli ovini. Impressiona il numero delle nostre greggi. Quasi raddoppiate in 20 anni. Siamo passati da 20 a 37 mila capi

10.000: sono le capre. Catapultate al raddoppio dei loro numeri in poco tempo. Erano 5000 nel 2010

2000: aziende totali di cui sole 1400 gestite in full time. Dato a trend negativo. 

52: età media. Ora ne abbiamo la prova. Allevare non è un lavoro per giovani. 

 

Mi si perdoni la prosopopea intorno a questi primi dati. E’ necessaria per arrivare a commentare forse quelli più significativi. Quelli registrati nell’ultima riga. 

92.000: gli ettari coltivati a sfalcio e pascolo. erano 88mila nel 2000

Perchè questo pur modesto ma interessante aumento? Per lo stesso motivo a causa del quale sono aumentate le pecore. E’ stata la PAC coi suoi titoli, contributi europei per mantenere viva e coltiva la montagna. Anche quella abbandonata dalle vacche. 

 

Ci siamo riusciti.

Con qualche piccola soddisfazione personale. Intanto è stato rivalutato il ruolo degli ovini come animali pascolatori, per questo manutentori della montagna anche scoscesa elevata e dunque più cagionevole e soggetta all’abbandono. E poi, almeno in minima parte grazie a loro è stato invertito il trend in un comparto piuttosto stantio a causa di alcuni problemi: un’età media elevata, una PLV ferma come il suo numero di partita IVA. 

 

Il paesaggio serve tremendamente al Trentino

Un territorio che fa della valorizzazione dei suoi panorami ragione di vita economica pur di mantenere il paesaggio delle sue vallate non può che benedire ogni forma di contributo pubblico. A maggior ragione se viene da Bruxelles. Lo sa bene la Comunità Europea, a cosa servono i suoi aiuti. Sono funzionali al pareggio dei maggiori costi dell’agricolutra di montagna rispetto alla pianura. 

 

Ogni 3, gestiti da vacche, capre e pecore, solo uno viene coltivato a frutta e viti.

Alla zootecnia, alla Cenerentola dell’agricoltura trentina, va il podio per numero di ettari coltivati. In queste ore il Consiglio Provinciale sta discutendo della nuova norma sull’agricoltura biologica. E l’aiuto che si aspettano i contadini non arriverà col consiglio di passare al biologico 

Li salverà piuttosto una politica agricola comunitaria e trentina che compensi i costi della vita di montagna rispetto a quella di pianura. In secondo luogo, gli allevatori si aspettano una politica che sappia valorizzare sul mercato i prodotti ad un giusto prezzo. A regime torneranno gli ospiti. Ogni anno prima del Covid erano 6 milioni. Si fermavano a dormire 32 milioni di notti. Dunque: 32 milioni di colazioni, con altrettanti bicchieri di latte, di cappuccini, di yogurt o di porzioni di formaggio. 

 

E’ pur giusto che la politica offra opportunità di sviluppo indirizzando la produzione verso trend di mercato apparentemente più favorevoli come li può rappresentare il biologico. Ma forse, un’attenta capacità di collettare risorse agricole comunitarie e stimolare fortemente il rapporto di integrazione col mondo del turismo è una necessità ancora maggiore.

 

Senza questo mix i numeri della zootecnia saranno costretti a calare ancora. Non ce lo possiamo permettere.