Il Lupo verso il 2030: che fare?

Da Michele Dallapiccola

Sono pochi gli argomenti che dividono l’opinione pubblica come quello che riguarda la presenza dei grandi carnivori sulle nostre montagne. Da qualche anno però la diffusione delle due specie, lupo ed orso, sta profondamente cambiando. Complice una diversa capacità riproduttiva la proliferazione della specie orso che è ben diversa da quella del lupo. Ed è sul secondo dunque che in questo breve pensiero qui a seguire, ci concentreremo. 

Partiamo con una notizia che per i suoi sostenitori è immediatamente percepita come buona. Il lupo non è più una specie in estinzione. Lo dicono i numeri derivanti dal primo monitoraggio nazionale in Italia, coordinato dall’ISPRA, su mandato del Ministero della Transizione Ecologica MiTE. I dati sono stati raccolti tra Ottobre 2020 – Aprile 2021 ed hanno permesso di stimarne numero ed estensione delle aree occupate. I risultati ufficiali sono poi stati consegnati il 12 maggio 2022 da ISPRA al Ministero in questione. La ripresa demografica e geografica rilevata, si avvertiva tutta ma mai era stata metodicamente e scientificamente determinata cosi in fino. Il risultato di espansione della specie rilevato, si è verificato perché il lupo è stato per anni rigorosamente protetto dalla normativa Internazionale (Direttiva ‘Habitat’ CEE 1993/43, Convenzione di Berna) e nazionale (l. 157/92, DPR 357/97). 

L’uso di protocolli standardizzati e coordinati condivisi su base nazionale, che ha caratterizzato il monitoraggio realizzato da ISPRA, ha permesso di superare la frammentazione metodologica fornendo dati rigorosi. Sono stati poi analizzati con un unico approccio scientifico, oggettivo e condiviso. Per questo dunque, parliamo di uno studio particolarmente autorevole. 

Nella campagna di campionamento sono stati infatti raccolti 24490 segni di presenza della specie. Parliamo di 6520 avvistamenti fotografici da fototrappola, 491 carcasse di ungulato predate dal lupo, 1310 tracce di lupo, 171 lupi morti. Su 1500 escrementi, dei 16000 registrati, sono state condotte analisi genetiche che hanno permesso l’identificazione della specie. Ci ha pensato una rete di 3000 persone, opportunamente formate e appartenenti a 20 Parchi nazionali e regionali, 19 regioni e province autonome, 10 università e musei, 5 associazioni nazionali (Aigae, Cai, Legambiente, Lipu, Wwf Italia), 34 associazioni locali, 504 reparti del Comando Unità Forestali Ambientali e Agroalimentari (CUFAA) dell’Arma dei Carabinieri, ha avuto un ruolo fondamentale nelle attività di raccolta dei segni di presenza.

E quindi, quanti lupi ci sono in Italia?

La stima della popolazione del lupo a scala nazionale è risultata pari a 3.307 individui (forchetta 2.945 – 3.608). Un risultato che indica che la popolazione di lupi del nostro paese è molto cresciuta negli ultimi anni, soprattutto nelle regioni alpine. Il lupo occupa inoltre una larga parte del paese e nelle regioni peninsulari ha colonizzato la quasi totalità degli ambienti idonei.

Poiché anche l’ibridazione è una minaccia per la conservazione della specie si sono condotte analisi genetiche anche in tal senso. Dei 513 campioni di lupo, il 72,7 % non ha mostrato ai marcatori molecolari analizzati alcun segno genetico di ibridazione. Il’11,7 % mostrava segni di ibridazione recente con il cane domestico. Il 15,6 % hanno mostrato segni di più antica ibridazione (re-incrocio con il cane domestico avvenuto circa oltre tre generazioni nel passato). Il monitoraggio nazionale del lupo ha anche contribuito ad aumentare il livello di consapevolezza e conoscenza della specie nei cittadini. Questo grazie alla campagna di formazione e informazione che ha accompagnato le varie fasi del monitoraggio.

La posizione della politica

Tutte queste enunciate sopra sono azioni che in Trentino si effettuano da sempre. Certificano dunque il perché delle nostre critiche politiche rivolte all’attuale amministrazione in carica. Abbiamo rilevato ad esempio, che interrompere il monitoraggio annuale sulla specie orso o non implementare quello del lupo rispetto al passato o non attivare innovazione nel campo della gestione, come ha fatto questa giunta provinciale, sia stato fondamentalmente sbagliato.

In questo momento andrebbero completate le azioni necessarie ad implementare l’accettazione sociale della presenza del grande carnivoro. E questo, una politica che si rispetti lo può raggiungere solo e soltanto se riesce a minimizzare l’impatto della presenza di questo canide con le produzioni zootecniche. 

Le azioni di protezione dovrebbero presentarsi manifestamente innovative. I ripari forniti, tecnicamente e architettonicamente in grado integrarsi bene nel nostro ambiente dovrebbero essere garantiti a tutti i pascoli d’alpeggio in brevissimo tempo. Andrebbe utilizzata una tecnologia di rilevamento e radiocolaraggio all’avanguardia. Andrebbero attivate iniziative che collettano un’attività di volontariato collegate al servizio civile e alla nostre istituzioni scientifiche per implementare le attività di supporto alla guardiania. 

Solo così potremmo pensare di diventare titolari e gestori di quel “Piano lupo” che questo governo Provinciale ha tentato di farsi approvare da Ispra e Ministero nella speranza di una autonomia operativa puntuale. La scorciatoia, cercata piuttosto goffamente dal punto di vista gestionale, ha cercato di far leva su un importante risultato portato a casa nella scorsa legislatura. La PAT attraverso la legge 9 del 2018 ha incardinato a sé la competenza di gestione dei due grandi carnivori proprio ai fini di protezione dell’alpicoltura. Oggi però è assai difficile pensare che lo Stato italiano possa avere un occhio di riguardo speciale per le Province a Statuto autonomo quando di speciale queste non attivano nulla di diverso dalle Regioni a statuto ordinario.

Cosa può cambiare al livello normativo? 

La strada maestra che potrebbe portare ad un nuovo importante passaggio nella gestione della specie lupo rimane quella ancora strettamente nelle mani del Governo nazionale. Con un provvedimento che poi dovrebbe venir validato da un successivo passaggio di ratifica da parte di Bruxelles. 

E’ da quel livello infatti che allo stato attuale la Direttiva 92/43/CEE “Habitat” del 21 maggio 1992, norma la Conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche. Si tratta della famosa Direttiva “Habitat”. Nel suo allegato IV elenca le specie per le quali è necessario adottare misure di rigorosa tutela e delle quali è vietata qualsiasi forma di raccolta, uccisione, detenzione e scambio a fini commerciali. 

L’allegato V elenca invece le specie il cui prelievo in natura può essere sottoposto a opportune misure di gestione.

Ebbene, a livello italiano il DPR 357/’97 riprende tout court le indicazione della Habitat nella sua prima scrittura. Va detto però che il vigente quadro normativo permette anche agli Stati membri dietro opportuna documentazione ed argomentazione di adottare per ogni singola specie condizioni diverse tra quelle elencate nei due allegati citati sopra. 

In pratica se le norme attualmente vigenti per la gestione della specie lupo venissero incardinate più sull’allegato IV ma sull’allegato V, si potrebbe finalmente configurare uno sblocco e un percorso che porti all’adozione nazionale di un nuovo vero “piano lupo”.  Rispetto ad ipotesi di caratura provinciale questa strada risulterebbe tra l’altro sicuramente più efficace ai fini della gestione del carnivoro in parola. Parliamo infatti di un animale molto mobile che colonizza normalmente territorio di un’estensione di 150-200 km quadrati che sconfinano spesso anche nelle province vicine. 

L’intento del legislatore dovrebbe dunque concentrarsi sulla possibilità di intervenire in situazioni di particolare stress per gli insediamenti antropici. Fatto che si configura in copresenza di numerosità di popolazione e intensità degli attacchi. In tal caso l’azione di gestione mirata e specifica potrebbe partire proprio dai casi più critici. L’accettazione sociale del carnivoro in parola risulterebbe sicuramente migliore. Questo fatto determinerebbe una minore avversione da parte della popolazione direttamente interessata verso i danni provocati da questo animale. Non si migliorerebbe soltanto la vita degli allevatori ma si ridurrebbero gli episodi di bracconaggio  e si garantirebbe sopravvivenza e ulteriore proliferazione della specie intervenendo soltanto sui singoli isolati individui.

Anche in questo caso, ed ancor più in questo caso, andrebbero poi garantite tutte le migliori pratiche gestionali ed amministrative per garantire comunque la proliferazione della specie.

Per concludere ci sembra giusto insistere sul concetto che tale approccio, è dettato dal buon senso. Non si può pensare di gestire una specie che 40 anni fa era in estinzione poiché rappresentata solo da poche decine di animali con una norma che ha superato i 30 anni.  Col numero di lupi che, censimento alla mano, nel frattempo è arrivato a quasi 4000 capi.