Michele Dallapiccola
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AGRICOLTURA

Una volta, quando ancora la politica credeva nella zootecnia…

Da Michele Dallapiccola 29 Novembre 2024

A forza di sentirne parlare, la crisi della zootecnia è un argomento che non appassiona più nessuno. E forse, il mondo della società civile può averne tutte le ragioni. Soldi che non bastano per arrivare alla fine del mese, società schiacciata dai problemi degli anziani, sanità in affanno, tanto basta per giustificare. 

Chi non dovrebbe disinteressarsi sarebbe invece la politica, deputata qual’è, ad occuparsi di tutti i settori. Una Provincia Autonoma che nel marketing investe i milioni di euro, a decine alla volta, non può permettersi ignorare la promozione del settore lattiero caseario così come ha fatto in questi ultimi anni. 

I responsabili sono di facile reperibilità: Presidenza e assessorati al turismo e all’agricoltura sono strettamente nelle mani della Lega. Il sillogismo risulta pertanto fin troppo facile. Alla Lega non importa un fico secco di sostenere come si deve, il settore zootecnico. 

Eppure ad indirizzare gli interventi ci penserebbe il quadro giuridico che su un argomento appare piuttosto chiaro. Il settore è già ampiamente più che sostenuto dall’Europa. Tuttavia, alla Provincia Autonoma rimane ancora uno strumento formidabile che, pur in maniera indiretta, permetterebbe di sostenere ulteriormente chi alleva bovini: la pubblicità ai loro prodotti. 

Infatti, c’è stato un passato in cui le iniziative erano state presenti e numerose. 

Oggi invece, tutto sembra lasciato a se stesso. Così ci sono consorzi cooperativi capaci e coraggiosi che la reclame se la sono fatta da soli mentre i più deboli in professionalità e competenza di fronte di un nuovo ulteriore caso di SEU anziché approfittarne, rilanciare e mettere la politica in scacco all’angolo l’unica cosa che sa fare è provare a discolparsi. E continuano a sperare, si perdoni la metafora zootecnica, nella greppia in Piazza Dante.

A questo punto per onestà intellettuale va comunque precisata una cosa. Non c’è ombra di dubbio che la situazione sarebbe degenerata anche nelle mani di una classe politica capace ed appassionata. Il declino però sarebbe stato più lento e meno drammatico proprio come sta invece succedendo in Alto Adige dove la zootecnia è tendenzialmente stabile.

Qui inoltre, alle colpe della politica si aggiungono quelle degli allevatori, pochi e ben divisi. Il risultato è un mix micidiale che probabilmente non fermerà ormai più nessuno. 

Ma quanta consapevolezza e comprensione su questo, possa esserci nei due assessorati implicati, lo dicono i risultati del settore. Gli allevatori non sono imprenditori ai quali fare carità. Sono aziende complicate, difficili da gestire, e che solo una politica davvero capace di indossare camice e calzari zootecnici potrebbe capire. Anche perché a tutte queste problematiche se ne aggiungono di sempre nuove. Prendete il caso di cronaca sanitaria di questi giorni citato poco sopra. Avviene dentro ad una società schizofrenica che vorrebbe la genuinità finta di un bicchiere di latte appena munto. (nella completa ignoranza del fatto che se le nonne di un tempo il latte l’han sempre bollito un motivo ci sarà pur stato). Al tempo stesso chiede la sicurezza integrale, imprescindibile e prioritaria rispetto alle mode radical chic del crudo ma buono. 

Ecco un altro tipico esempio dove la politica ha praticamente lasciato sulla schiena dei contadini la piena responsabilità giuridica ed economica di tutelare la pubblica salute. Anzichè finanziare informazione, costi e prevenzione, la lega al governo del Trentino ha preferito “fumarsi” dieci milioni di euro in un concertone o bloccarne molti di più in promesse di campi da calcio e piste olimpioniche da pattinaggio per tutti. 

Siamo in tanti a ritenerlo non più accettabile.

29 Novembre 2024 0 Commenti
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Siccità e crisi economica. Tempesta perfetta per la zootecnia dove gli aiuti della giunta arrivano (poco) e fuori tempo massimo.

Da Michele Dallapiccola 24 Luglio 2022

In questo periodo di crisi generalizzata, sarebbe ingiusto stilare una graduatoria che possa stabilire a quale settore economico è andata peggio rispetto ad altri.

Cercando di mantenere il focus delle considerazioni essenzialmente in ambito tecnico si possono osservare delle sostanziali differenze tra un comparto e l’altro. Soprattutto se a venir presi in considerazione sono gli effetti della crisi dentro e fuori al sistema nel quale operano le aziende monitorate. E’ questo il motivo che può riservare alla zootecnia il triste primato di osservato speciale tra i settori colpiti. 

Si tratta infatti di un insieme di aziende dalla delicatezza cristallina la cui marginalità negli anni si è via via sempre più ristretta. 

Non mancano altri problemi di natura sociale quale il forte invecchiamento medio degli imprenditori con conseguente riduzione del numero delle aziende. Con ogni probabilità questo è anche legato al modello di vita che si abbina a chi alleva vacche. Assolutamente fuori paragone a quello di altre professioni. Eppure, nutrite schiere di antropologi e fior di sociologi si sprecano nel raccontare dei custodi del paesaggio. Gli allevatori, secondo tutti, andrebbero premiati in ogni modo e in ogni misura.

Così non è, o almeno non lo è più. Nonostante fosse assolutamente prevedibile l’arrivo di momenti molto difficili. Non a caso, da più di un anno come Gruppo PATT, stimoliamo la giunta provinciale a prendere in considerazione azioni straordinarie di sostegno al settore. Eppure no, caparbio, l’esecutivo provinciale non ha voluto intervenire fin da subito. Assistendo il settore nell’ambito della promozione si sarebbero potuti portare a casa dei risultati da capitalizzare nel momento della crisi. E non si è voluto intervenire nemmeno ad inizio anno, quando le voci cominciavano ad alzarsi anche attraverso i media.

Finalmente arriva oggi un provvedimento annunciato ormai da almeno 3 mesi.

A contarli bene, saranno almeno una decina i comunicati stampa che raccontano dei 4 milioni dedicati all’agricoltura. E anche se osservati attraverso l’ottica di un privato cittadino possono sembrare tanti, va invece preso atto che in ottica di impatto sul settore di tratta di una cifra al limite del risibile. I ristori, di media, si collocheranno intorno ai €100 a capo. E tra scadenze, istruttorie e iter amministrativo complessivo gli allevatori non se li ritroveranno sul conto prima della fine dell’anno.

Dopo la crisi generale, il flagello della siccità

Il problema è che nel frattempo oltre a tutti gli altri incidenti di contesto è arrivata anche la siccità. Che magari per un’impresa industriale o artigianale non è un problema particolarmente grave ma che per la zootecnia è assolutamente devastante. Scene come quelle di questi giorni non si ricordano a memoria d’uomo ed i danni a bestiame e produzione rischiano di essere irreversibili. A QUESTO LINK UNA DELLE TANTE NOTIZIE

Questo anche perché anche se sono finalmente previste precipitazioni in arrivo, i danni al cotico erboso sono irreversibili. Anzi, la poca erba di rispunta che dovesse repentinamente crescere potrebbe risultare ancor più compromissiva della corretta qualità nell’alimentazione del bestiame (chi alleva sa perfettamente a cosa mi riferisco).

Poi per carità, chi investe e fa impresa mette in conto qualsiasi forma di rischio e sono sicuro che i nostri contadini sapranno rialzarsi anche da questo annus horribilis. 

Ciò che sconvolge dunque, è la politica ipocrita che pretende di avere ragione e di raccontare se stessa come capace di aver risolto i problemi del sistema. Invece, anziché annunciare bandi come quello visto in questi giorni, dovrebbe soltanto stare zitta e chiedere scusa. 

Ecco perché la nostra Provincia dovrebbe attivarsi come parte fortemente interessata dal problema. Abbiamo una componente della Giunta provinciale che ha assunto il ruolo di Coordinatrice della Commissione Protezione Civile della Conferenza delle Regioni. I contatti giusti dovrebbero esserci no? A QUESTO LINK UN SEGNO DI VITA. AMMINISTRATIVA.

Con una mozione ad hoc, con la collega Paola Demagri ci attiveremo per impegnare la Giunta a chiedere lo stato di calamità naturale che si è abbattuto sulla zootecnia e sugli istituti di malga e alpeggio in queste settimane, a causa della drammatica condizione di siccità.

24 Luglio 2022 0 Commenti
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La Politica agricola Comunitaria arranca, la zootecnia è in crisi ma per la Provincia i problemi sono quelli dei controlli burocratici.

Da Michele Dallapiccola 11 Maggio 2022

Eppure è così. Sembra incredibile ma nel civilissimo Trentino, nella terra dei boschi dove trovi più forestali che porcini, nel regno delle scartoffie e della burocrazia infinita, la lega del cambiamento è riuscita a partorire anche questo. 

Facciamo un po’ di ordine in queste vicende. 

Effettivamente, nelle premesse enunciate dall’esecutivo è citato un fatto reale. In passato, e particolarmente fino a 6-7 anni fa, la politica agricola comunitaria premiava maggiormente le aziende da fuori Provincia rispetto a quelle trentine. Nel frattempo questo gap si è ridotto. Oggi gli allevatori trentini sono finalmente competitivi con quelli nazionali. Inoltre, le amministrazioni locali sono state dotate di un bando tipo per poter assegnare gli alpeggi con particolare riguardo alle aziende locali. 

Per quanto riguarda le legittimità degli impegni contratti dalle aziende, con la pubblica amministrazione che premia, va precisata una condizione oggettiva.

In malga, i controlli avvengono da sempre. La PAT (unica in Italia a che io ne sappia), ha da tempo adottato il registro provinciale di pascoli e malghe. Si tratta di un sistema codificato che registra con precisa contezza la dimensione delle nostre malghe evitando il controllo-confronto con l’aerofotogrammetria. Inoltre, Servizi veterinari, quelli provinciali e controlli a campione da parte di AGEA nazionale, hanno da sempre lavorato all’unisono. 

Insomma, in materia di lotta all’illegalità il Trentino non si trovava certo all’anno zero e non aveva nemmeno bisogno di partire da qui. 

La nuova PAC parte in calo.

La trattativa condotta da questo governo provinciale è andata peggio del previsto. Per onestà diciamo che questo dipende probabilmente anche da fattori esterni. Oltre alla poca esperienza di chi ha effettuato le trattative politiche a Rome c’è una Comunità europea che tanto ha dato su altri capitoli, il Recovery Fund tra tutti. 

Ma per diamine allora! C’è la crisi, la PAC è in riduzione e la risposta della Provincia qual è? Intensifichiamo un’azione dove la Provincia è già più che presente. Si citano irregolarità scoperte in passato. E chi le avrebbe scoperte se non lo stesso sistema di controlli che già c’è, funziona e ora si potenzia pure?

E coi grandi carnivori come la mettiamo?

Ci saranno periodi di pascolo obbligatoriamente ridotti a causa di questi nuovi flagelli delle montagne. Per cause di forza maggiore le deroghe ci sono sempre state.

Ha intenzione la giunta provinciale di intensificare anche lo strumento della deroga visto l’intensificarsi degli attacchi a causa dell’intensificarsi del numero di esemplari? Di fronte ad un nulla di nuovo di fatto, di fronte ad un loro mancato contenimento?

PS. con la collega Paola Demagri abbiamo intenzione di sensibilizzare la giunta interrogandola. La deroga ai periodi obbligatori di pascolo è sempre più una drammatica realtà. La causa? I troppo intensi episodi di predazione

11 Maggio 2022 0 Commenti
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Tipicità, innovazione e diversificazione. Tre ingredienti anticrisi anche per il mercato lattiero-caseario. Basteranno a fronteggiare la crisi?

Da Michele Dallapiccola 18 Febbraio 2022

Crisi delle imprese e caro energia toccano tutti. Se la marginalità aziendale parte già ridotta di suo, la cosa pesa ancora di più.

Le aziende zootecniche ne sanno qualcosa. Non ha mai avuto vita facile, chi alleva allo scopo di produrre carne e latte. E’ paradossale pensare quanto poco ripaghi produrre alimenti così nobili. Eppure è così. 

E proprio adesso che la PAC da qualche anno, ha cominciato davvero a ripianare le spese e a farsi sentire in positivo sui bilanci aziendali, arriva una delle peggiori crisi da aumento dei costi che l’uomo ricordi dal dopoguerra. Come uscirne? 

Poche le ricette. 

Tra tutte, caratterizzare e diversificare il prodotto può essere una soluzione. La galassia Concast, coordina la produzione dei 17 caseifici trentini. Alla cui capacità di impresa e bravura dei propri casari, è lasciato il compito di distinguersi e farsi avanti col mercato locale, specie se turistico.

Il Caseificio Sociale di Cavalese ne è un ottimo esempio. Con oltre 40 referenze diverse produce tanti tipi di prodotti caseari quanti sono i modelli di jeans della Levis. Impossibile per un consumatore non trovarne uno che non gli vada bene. E in una valle turistica interpretare tipicità e novità assume significati particolarmente trasversali. 

Sarà sufficiente a proteggere la zootecnia di montagna dalla crisi? Aiuta ma non sarà sicuramente risolutivo. Fin quando questa Provincia non punterà fortemente su azioni di marketing congiunte e coordinate dalla nostra società di sistema della promozione, sarà difficile per i nostri allevatori lavorare in serenità.

18 Febbraio 2022 0 Commenti
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Mancano poco più di 100 giorni all’alpeggio e ancora nessuna novità.

Da Michele Dallapiccola 15 Febbraio 2022

Ovviamente mi riferisco alla questione lupo.

Me lo ha ricordato oggi un mio amico pastore. Sta aspettando, senza speranza. Perchè si badi bene, lui e suoi colleghi son piuttosto smaliziati. Conoscono le norme, le condizioni e l’etologia del carnivoro, e hanno ridotto al lumicino le speranze di vedere qualche novità.

A parte un miglior atteggiamento e un più responsabile comportamento del governo provinciale

Sorprendono un paio di stranezze.

La prima riguarda il cambio di approccio alla materia da parte della lega. In secondo ordine spicca l’assenza di novità rispetto alle attività di protezione, formazione e informazione. 

Che la lega la facesse troppo facile quando da sotto ai gazebo invocava le doppiette è cosa nota e poco sorprendente. Ma che ora, dal Governo della Provincia, scarichi tutto su Roma preoccupa. Questo perché non produce il segno di atteggiamento proattivo di collaborazione con le altre Province. 

E chiunque abbia un minimo di rudimenti amministrativi sa che è solo attraverso una cooperazione interregionale che lo Stato potrà prendersi l’impegno di attivare un piano lupo serio. Diversamente da ciò, anche se venisse permesso qualche abbattimento, non si arriverebbe mai a capo del problema. Il lupo, ormai lo sappiamo, è un animale territoriale. Lo spazio lasciato libero da un esemplare rimosso viene in breve tempo occupato da qualche altro esemplare.

Ma le nozioni da diffondere non si fermano certo qui. Molto e molto altro va diffuso e portato a conoscenza della pubblica opinione. Per questo sarebbe estremamente opportuno potenziare le riunioni pubbliche di informazione che tanto piacciono in modalità videoconferenza all’assessora. 

Andrebbero poi potenziate le iniziative di protezione del bestiame soprattutto in aiuto alla guardiania. Quest’ultima spesa l’avrei vista molto bene anche come imputata ad una misura del nuovo PSR. Ma si sa non c’è sordo più grave di chi non vuol sentire. E intanto sta per terminare la legislatura con un nulla di fatto ed una serie di frasi fatte ripetute a cantilena. “Massima vicinanza; è un problema difficile; è necessario convivere; abbiamo parlato al Ministro”. Lo stucchevole eloquio ha sostituito la raccolta firme; le invettive alla giunta precedente, le esortazioni a sparare. E’ questo il modo con cui la lega ha mantenuto la parola. Ha segnato un cambiamento rispetto al passato. Quello suo.

15 Febbraio 2022 0 Commenti
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Danni da Drosophila. Siamo alle solite: manca la programmazione provinciale.

Da Michele Dallapiccola 22 Gennaio 2022

Come ad ogni inizio anno di questa legislatura, avvertiamo l’esigenza di stimolare la Provincia a prestare più attenzione all’annoso problema della Drosophila. 

E’ pur vero che qualche segnale c’è stato. Dopo una serie inenarrata di stimoli richiami e convegni (promossi dagli imprenditori provati) lo scorso anno è partita la sperimentazione in campo della diffusione del suo nemico naturale, la Ganapsis brasiliensis.

Dopo il lancio del parassitoide, come è normale immaginare però, il problema si presenta tutt’altro che risolto. Davanti a noi, purtroppo avremo ancora molto tempo dove vivere il disagio della fastidiosa convivenza col vorace parassita. 

Del resto, fino a quando – e soprattutto se – la colonizzazione del parassitoide Ganapsis b., non porterà ad un pesante abbattimento della popolazione del moscerino della frutta, avremo ancora bisogno di metodi fisici di contrasto. Le reti si sono dimostrate indiscussi presidi utili a contenere il disagio e i trattamenti. 

Purtroppo, per i coltivatori di berries le noie non finiscono mai. Sta per presentarsi per loro un ulteriore problema che riguarda gli aiuti all’acquisto delle reti di protezione. Questi presidi sono molto onerosi e per questo sono sempre stati sostenuti da aiuti pubblici. La misura 411 del PSR, però non contempla la possibilità di finanziamento. Alle misure previste dai fondi OCM, non tutte le grandi cooperative frutticole, hanno aderito. Alcune vaste aree agricole del Trentino sono dunque rimaste escluse colpite dalla mancanza di programmazione, a questo punto, da parte della Giunta provinciale. La sua azione di mediatore avrebbe potuto mettere in campo strumenti straordinari quali ad esempio specifici Bandi.

Ne sono stati attivati parecchi in questi anni, anche per asset di ben più minuta portata. La legge 4 del 2003, offre possibilità di intervento piuttosto agili ed altrettanto variegate. Inoltre, sarebbe bastato fare un copia incolla anche solo dalla precedente legislatura. A QUESTO LINK IL COMUNICATO STAMPA DI ALLORA. Per questo con la collega Paola Demagri intendiamo stimolare la giunta provinciale ad intervenire depositando (per ora) l’ennesima interrogazione.

Con 190 milioni e passa sul fondo di riserva del Presidente, investire qui due o trecentomila euro non sarà sicuramente un problema.

22 Gennaio 2022 0 Commenti
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La giunta provinciale rompa i propri indugi e permetta alla FEM di spiccare il volo!

Da Michele Dallapiccola 14 Gennaio 2022

Le considerazioni di qualche giorno fa, insieme alla collega Demagri, ci hanno portato ad interrogare la giunta sulle sue reali intenzioni di azione a supporto del prestigioso istituto.

Fondazione Edmund Mach: fermi a 150 milioni di € fa?

Quale Fondazione di ricerca della Provincia Autonoma di Trento unica nel suo genere in Italia, è riconosciuta a livello nazionale e internazionale per la qualità delle sue attività nell’ambito della ricerca, formazione secondaria superiore, di laurea e post laurea oltre che per la sperimentazione, consulenza e servizi per il comparto agricolo, agroalimentare e ambientale. Tra le attività annovera anche una azienda agricola sperimentale e produttiva di dimensioni significative per l’ordinarietà provinciale con 120 ettari coltivati, le cui produzioni viti enologiche sono un fiore all’occhiello dell’enologia provinciale.

Dal 2019, primo anno di insediamento e di governo a trazione leghista, dell’attuale maggioranza politica provinciale, presso la Fondazione è stata avviata una rivoluzione sia a livello dei vertici di governo nei ruoli di indirizzo e rappresentanza, Presidente e Consiglio di Amministrazione sia a livello amministrativo: Direttore Generale, Dirigenti, Responsabili di Dipartimento.

Si tratta di una rivoluzione che, a quanto pare, ha interessato i singoli nominativi. Sembra infatti non si sia verificata anche una conseguente sostanziale revisione dell’articolazione organizzativa della Fondazione, men che meno una nuova elaborazione e/o aggiornamento dei documenti programmatici e di strategia per la FEM.

Problemi di organizzazione

E’ di palese evidenza come oggi FEM versi ancora in piena provvisorietà, al limite della legittimità giuridica costitutiva del proprio Consiglio di Amministrazione, nominato a 5 componenti anziché a 8, totalmente privo di rappresentanti dei settori agricolo, zootecnico, agroalimentare e ambientale, locali, espressione statutaria delle associazioni di categoria e della cooperazione.

Consiglio di Amministrazione incompleto e Presidente in carica che governano una Fondazione, con in organico circa 700 unità di personale e un bilancio complessivo di circa 50 milioni di euro annui, di cui circa 40 milioni derivanti da trasferimenti, diretti e indiretti, della PAT, cercando di interpretare la mission, senza alcun documento programmatico aggiornato e/o neocostituito di riferimento.

Continue modifiche organizzative ai regolamenti di funzionamento della FEM, che oltre che limitare la trasparenza degli atti, spostano attività e connesse responsabilità dal Direttore Generale ai collaboratori con necessità di elevare quattro al rango di Dirigente (avviso pubblico di selezione in atto). Tanto da figurare una futura articolazione della Fondazione con sette Dirigenti e un Dirigente Generale a fronte dei tre Dirigenti e un Dirigente Generale presenti dal 2015 al 2019, con conseguente incremento significativo degli oneri per il personale.

Riduzione dei contenuti

Nell’ultimo triennio si sono solo susseguiti nel contesto istituzionale provinciale, nazionale ed europeo alcune piccole-grandi novità: Agenda 2030 e strategia di sviluppo sostenibile, nuovi indirizzi della politica agricola europea (Green Deal), PNRR etc. Tanto che in assenza di riferimenti non risulta un azzardo dire che siamo in una fase in cui la guida della FEM avviene con rotta a vista!

Se si consulta il sito Internet che per una Fondazione di Ricerca in particolare dovrebbe essere una vetrina delle referenze e attività in corso, in molte finestre risulta fermo al 2019. Cito quelle importanti e di frontiera come le attività di trasferimento tecnologico, valorizzazione della proprietà intellettuale, produzione scientifica, capacità di fundraising.

Assenti le pubblicazioni dei consueti rapporti di attività annuale degli ultimi tre anni, ad eccezione del Centro di Trasferimento tecnologico.

Dall’esame dei provvedimenti di competenza degli Organi di governo, reperibili sempre sul sito internet, si rileva che il Piano degli investimenti immobiliari da attuare attraverso la Patrimonio del Trentino procede molto a rilento. E’ pressoché fermo per le opere principali programmate e finanziate dal 2018, come la palazzina per la chimica; al palo anche l’ adeguamento strutturale ed energetico del complesso scolastico.

Attività di collaborazione con le altre realtà di ricerca locali FBK e UNITN, fortemente rallentate. Rapporti tra la Fondazione e l’Università di Trento per il Centro Agricoltura, Alimenti, Ambiente – C3A incagliati su aspetti tecnico-finanziari. Incarichi di rappresentanza della Fondazione nelle società partecipate assegnati a persone prive di rappresentanza legale per la stessa, con il risultato prossimo conseguente di ridurre la tempestività ed efficacia d’azione operativa.

La necessità di conoscere i perchè di queste considerazioni

Oggi quindi , dopo tre anni di “nuovo corso” con “nuovi fiduciari” nei ruoli chiave pare naturale, logico, ma oltremodo doveroso come Amministratori provinciali chieder conto dei primi risultati ottenuti. Da una disamina dei documenti consultabili nella sezione Amministrazione trasparente gli obiettivi raggiunti risultano in netta flessione a causa di una significativa contrazione delle attività in generale della Fondazione.

Dalla diminuzione dei contratti di service, di ricerca su bandi competitivi, di ricerca applicata, alla limitata capacità di reperire risorse finanziarie aggiuntive rispetto all’accordo di programma (finanziamento PAT), alle limite collaborazioni sinergiche con le altre realtà di ricerca locali, al lento completamento dei progetti di ricerca (es. Environment Food & Health – EFH ) e degli investimenti per la ricerca (infrastruttura di ricerca Fruitomics) con riduzioni importanti delle performance del comparto ricerca sia nel consuntivo 2020 che al 30 settembre 2021.

In funzione di queste premesse abbiamo formalmente interrogato la Giunta per sapere:

  • se è intenzione degli Organi di Governo della FEM sviluppare un documento di visione e programmatico, oltre alla generica carta di Rovereto, che individui le linee guida strategiche principali da perseguire con la mission per la Fondazione alla luce delle evoluzioni normative intercorse ed improntate allo sviluppo sostenibile delle Comunità e della attività agricola?
  • quante risorse ha introitato nell’ultimo triennio la FEM a seguito della valorizzazione, anche attraverso HIT, della proprietà intellettuale generata, portfolio brevetti (es. progetto Chardonnay +) ?
  • numero e valore dei progetti di ricerca su bandi competitivi nazionali, europei e internazionali che la FEM ha vinto nell’ultimo triennio?
  • l’andamento nell’ultimo quinquennio, in termini percentuali e valori assoluti, della capacità di autofinanziamento della Fondazione?
  • le intenzioni per il rinnovo delle convenzioni di consulenza agricola in scadenza al 31/12/2021 con il mondo agricolo locale: frutticolo, viticolo, zootecnico?
  • I tempi di esecuzione del piano di investimenti immobiliari da parte di Patrimonio del Trentino, concordato e approvato nel 2018? 
  • lo stato di aggiornamento della convenzione FEM/UniTN per il funzionamento del Centro Agricoltura, Alimenti, Ambiente?

L’interrogazione, che richiede risposta scritta, è firmata da Michele Dallapiccola e Paola Demagri.

14 Gennaio 2022 0 Commenti
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Contributi per la viticoltura. Dentro ad un apparentemente innocuo provvedimento, il disagio di un metodo profondamente sbagliato di assegnare i (pochi) fondi disponibili.

Da Michele Dallapiccola 9 Gennaio 2022

Il compito di un consigliere di controllo/opposizione è spesso piuttosto ingrato. Costringe a mettere fin troppo spesso in evidenza gli aspetti negativi dei vari provvedimenti della maggioranza. Lenisce, l’ingrato esercizio, l’accompagnare la denuncia degli aspetti negativi con proposte o consigli. 

Se è vero che la lingua batte dove il dente duole, in amministrazione il punto cagionevole è individuabile nell’elargizione dei contributi o nell’indirizzo dei finanziamenti. Per questo motivo abbiamo  spesso apostrofato l’attuale governo provinciale come privo di capacità di visione e approccio complessivo allo sviluppo. Dopo decenni di opposizione, evidentemente si ritrova al potere partendo da una preparazione amministrativa limitata e finendo dunque per correre rischi elevatissimi. Il peggiore riguarda l’utilizzo dell’assegnazione dei contributi perseguendo logiche di voto o anche semplicemente di soddisfazione di richieste in forma spot.

Prendiamo l’esempio del campo agricolo. E’ ancora caldo lo scalpore che avevano procurato gli oltre due milioni di Euro investiti nei carri raccolta mele. Eppure nell’ambito della stessa melicoltura che pure non soffre del suo peggior periodo, sarebbero stati molti altri gli ambiti dove intervenire in maniera più razionale. 

La logica del contributo spot prosegue. 

Qualche tempo fa in campo enologico, abbiamo assistito all’attivazione di un bando che assegna contributi per l’acquisto di nuove barrique. E’ un provvedimento che è passato piuttosto inosservato nonostante, per chi amministra, un’azione del genere gridi vendetta.

Si tratta infatti di materiale che tradizionalmente viene finanziato sui canali garantiti dai fondi OCM o del PSR. Attivare un altro, nuovo, terzo canale comporta ulteriore inutile lavoro per gli uffici e sovrapposizione burocratica non necessaria. Per gli addetti ai settori il senso di questa operazione tuttavia è chiaro. Anziché affidarsi a una distribuzione automatica e dunque anonima della contribuzione, l’attivazione da parte della politica di uno specifico bando individua più facilmente nome e cognome a chi abbia messo a disposizione i fondi, soprattutto da parte di chi li abbia richiesti. 

Si tratta insomma, con ogni evidenza, di un provvedimento dall’aroma clientelare che per giunta sovraccarica di inutile lavoro gli uffici provinciali, disorientando infine l’ignaro utente finale. Un metodo, piuttosto diffuso che oggi abbiamo esemplificato in questo, tra i tanti episodi.

9 Gennaio 2022 0 Commenti
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E se guardassimo l’allevamento ovino sotto un’altra luce?

Da Michele Dallapiccola 8 Gennaio 2022

Che la pecora sia un animale simpatico a molti è risaputo. Che abbia altre funzioni oltre ad animale da reddito, un po’ meno.

Con quel suo sguardo docile, coi suoi occhioni gialloni dolci, il suo aspetto lanuto, il suo fare indolente, porta facilmente con sé simbolismo pacifico ed accattivante. Immaginarla e contarla nella numerosità di un gregge, in una diffusa credenza popolare, è persino un ottimo conciliatore di sonno. 

Sarà forse per questo motivo che il suo allevamento è in espansione non solo nell’ambito delle razze da reddito. In Trentino, per queste, parliamo essenzialmente di tingola e bergamasca. Stanno sempre più prendendo piede anche alcune razze per così dire amatoriali, non da reddito ma piuttosto  da compagnia.

Può essere un’ottima opportunità e regala soddisfazione di vario tipo per chi abbia spazio per tenerle e passione di farlo. Non dunque un hobby alla portata di tutti, ma nemmeno nulla di settario o trascendentale. 

Nella casualità delle frequentazioni del territorio trentino mi sono reso conto che ieri, senza volerlo, mi sono imbattuto in tre diverse di queste razze. 

Ho visitato un gruppetto di pecore di Lamon. Una razza autoctona del tirolo storico, riconosciuta in estinzione ai sensi della Comunità Europea. 

Con loro vive anche un simpatico maschietto di Ouessant, una pecora nana, utilizzata anche come rasaerba naturale nei vigneti biologici per la sua bassa statura e dunque scarsa capacità di brucare tralci e danneggiare viti, potate più in alto. 

Ma è senz’altro l’allevamento di Nicola Gagliardi che mi ha più divertito. È questo il verbo più adatto per definire il primo impatto con questo fortunato allevatore perginese. Ci mette davvero tanta passione e si vede. E la trasmette pure quando racconta la sua storia e quella del gruppo di pecore Vallesi (Walliser Schwarz Nasen Schafen) che vivono con lui.

Presto, pare che i fortunati proprietari di pecore come le sue, si riuniranno in un’associazione. Sarebbe un’ottima occasione per scambiarsi consigli e diffondere cultura territoriale. Attenderemo sviluppi con grande interesse.

Sul senso complessivo dell’amore per l’allevamento c’è poco da aggiungere. Certe cose non si possono spiegare. Sono passioni o meglio emozioni che vanno vissute. Il racconto dice poco. Il resto è in mano a quegli alcuni fortunati che le pecore possiedono. 

8 Gennaio 2022 0 Commenti
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Vedere la grigia senza vederla grigia

Da Michele Dallapiccola 6 Dicembre 2021

In questo simpatico gioco di parole è contenuto una prospettiva che per la zootecnia trentina sa molto di agrodolce.

Sono ormai diversi gli allevatori, specialmente delle zone di montagna, che hanno optato per l’allevamento delle cosiddette razze autoctone tipiche anche dette “in estinzione”.

Per quanto riguarda i bovini in Trentino parliamo essenzialmente della razza grigio alpina e della razza rendena

Sono animali particolarmente rustici ed interessanti dal punto di vista produttivo perché adatti all’alpeggio. Osservati in quest’ottica possono nutrire grande soddisfazione, anche perché particolarmente tutelati dalla politica agricola comunitaria.

La PAC, riserva loro un piccolo aiuto supplementare. Diventa necessario poiché la tutela della biodiversità consiglia di allevare anche animali con caratteristiche produttive e performance d’allevamento inferiori alle classiche razze da latte. Quelle allevate nel fondovalle anche in Trentino sono rappresentate dalla bruna alpina, dalla pezzata rossa e dalla frisona.

Nuovi scenari, nuove preoccupazioni

E’ proprio questo l’aspetto col quale si confronta la preoccupazione del mondo allevatoriale. Alle prese con una marginalità sul prezzo del latte sempre più ridotta vede un futuro al momento assai cupo. Il rischio che quel modello così adatto alle zone ripide di montagna ad elevata altitudine venga adottato anche dalle stalle del fondovalle sta diventando concreto.

Questo potrebbe accadere perché nelle pieghe della PAC c’è la possibilità di coltivare le superfici a prato e a pascolo, allevando bestiame da riproduzione attraverso il sistema della cosiddetta “linea vacca-vitello”. In questo caso l’azienda è fuori dal circuito della produzione del latte. 

Letta dal punto di vista del singolo allevatore questa scelta è del tutto legittima e non fa una piega. In via politica invece, rappresenta un autentico fallimento. Una Provincia Autonoma che arrivi ad impostare una politica agricola comunitaria finendo per subire questo modello avrebbe completamente fallito.

Gli allevatori non vanno biasimati.

Infatti, o il prezzo del latte e tutta la filiera lattiero-casearia determinano la loro soddisfazione o come alternativa alla chiusura c’è una sola strada. Si tratta del passare ad una coltivazione delle superfici prative sostenuta da un ripiano contributivo di origine Europea. E’ una condizione appena sufficiente per una montagna abitata ma assolutamente ridicolo per una comunità ricca di tradizioni produttive, capacità di gestione della biodiversità e della sostenibilità ambientale, quale è quella trentina.

Sappiamo bene che l’allarme lanciato in queste poche righe è davvero preoccupante ma l’impressione che l’attuale  governo della Provincia autonoma di Trento non se ne stia davvero rendendo conto sembra piuttosto diffusa.

6 Dicembre 2021 0 Commenti
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Michele dallapiccola

Dopo un po' nella vita, ti accorgi che intorno
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Michele Dallapiccola
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