Michele Dallapiccola
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Michele Dallapiccola

Michele Dallapiccola

IL MONDO SOTTOSOPRA DA/CON CORONAVIRUS.

Da Michele Dallapiccola 12 Aprile 2020

Eh sì, perchè comunque si voglia inserire nella sintassi dei comunicati, se non ci fosse stato lui non ci sarebbero stati così tanti morti e tante fragilità, anche sociali, non sarebbero venute a galla. E poi? Ci avete fatto caso a quanti cambiamenti nel primo mese di lockdown della nostra vita? Io, di cose notevoli o mai viste prima, me ne son segnate alcune:

NEL MIO LAVORO:

Il telelavoro e le chiamate video, dovunque e con chiunque!
Così tante APP per videoconferenza sul telefonino (ma ne andasse bene almeno una?)
Eventi intoccabili rinviati a data da destinarsi.
L’utilità dei Social
I giga nel telefono squagliarsi (come neve al sole).
Le linee dati sempre occupate (più del bagno alle 7 di mattina).
Le telefonate durare così lungo.

NELLE NOSTRE ABITAZIONI:

L’utilità dei Social

I giga nel telefono squagliarsi (come neve al sole)
Le linee dati sempre occupate (più del bagno alle 7 di mattina)
Le telefonate durare così a lungo.
La casa così in ordine
L’auto cosi pulita
Investito tanto tempo a guardar vecchie foto.
Il cibo (nel frigo) finire così in fretta.
Il cibo (cucinato) finire così in fretta: specie sui social.

NEL MONDO CI CIRCONDA, SPESSO CON DISPIACERE, HO OSSERVATO:

I tedeschi, Putin, Trump, Johnson e vari leader mondiali di rinomato spessore caratteriale, non deridere più nessuno: muti!
L’Europa e l’Italia trovare i Fondi, il Trentino no!
Il Trentino attendista, imitare Veneto e Lombardia invece di Alto Adige e Tirolo.
La solidarietà tra i popoli.
Il mutismo dei no-vax.
Un governo nazionale riconquistare (un pò) di fiducia tra gli italiani.
Il Trentino “finire” ai primi posti nelle classifiche nazionali, per vari motivi di demerito!
La sala d’attesa del Pronto Soccorso vuota.
La disperazione del settore terziario (più di altri, dettaglianti, ristorazione, recettività)

Lavori visti sotto una luce diversa perchè per loro il lockdown non ha cambiato nulla. Sono quelli che ci hanno meravigliosamente garantito i servizi essenziali: i commessi o gli allevatori ad esempio o lavori rivalutati – finalmente – come svolti da eroi quali i medici, gli infermieri ed il volontariato di loro supporto.

Se tutto questo male stavolta è venuto per nuocere, sono altrettanto sicuro che questo incredibile periodo, ci farà in futuro guardare il mondo con occhi diversi. Ci pensate anche voi a quante cose ci hanno sorpreso o abbiamo visto finir sottosopra dentro a questa quarantena?

12 Aprile 2020 0 Commenti
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IL VIRUS SUL TURISMO TRENTINO: NON BASTA COME PROBLEMA?

Da Michele Dallapiccola 9 Aprile 2020

Giungono insistenti voci circa la ferma volontà di questa giunta provinciale di portare avanti la riforma del turismo. Purtroppo, anche un non esperto, in questi tempi di crisi può immaginare che il turismo si riformerà da solo a causa della pandemia, ma agli addetti al settore, la lega trentina vuole regalare qualche emozione in più: l’indeterminatezza totale! A quella dei mercati verrà aggiunta anche quella data da nuove regole di funzionamento riferite a presenze, flussi e fatturati che cambieranno radicalmente!

Temo tristemente che questo settore dell’economia Trentina risentirà molto più degli altri della presenza del COVID19 e delle relative restrizioni normative per contenerlo. Nella migliore delle ipotesi di una fase 2 e di una fase 3, accompagnate dal grande impegno dei nostri operatori per recuperare il recuperabile, con quale serenità infatti un potenziale ospite affronterà una vacanza in guanti e mascherina? La definitiva ripresa per questo settore temo potrà arrivare solo con la definitiva sconfitta del virus grazie alla vaccinazione massiva e la ormai rinomata immunità di gregge.

– Nello screenshot sotto, la fortissima preoccupazione per l’estate adombra ogni più ottimistica previsione. E se sembra ormai certa una stagione estiva a segno “meno”, all’orizzonte si intravedono fantasmi per quella invernale ’20/’21.
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Eppure, con ostentata sicumera, il caparbio titolare del dicastero del turismo trentino si ostina ad esternare – gli va riconosciuto con grande forza d’animo – l’intenzione di procedere, nonostante tutto e tutti. Si percepisce la sensazione, a mio avviso validata da alcune sue pubbliche affermazioni, ch’egli voglia in qualche maniera lasciare un segno negli annali delle cronache dal consiglio provinciale trentino più di quanto non farà il virus. Credo che la tenacia con la quale sta portando avanti le sue idee lo premierà in ogni caso perchè, comunque vada, le condizioni di disagio che provocherà il cambio di organizzazione normativa, insieme ai danni deflagranti del virus sul sistema, costruiranno un combinato disposto che difficilmente molti operatori del settore dimenticheranno.

Nel frattempo, ad una minoranza che voglia vigilare attenta, viene offerta l’occasione  di ragionare insieme ai molti scontenti che questa riforma lascerà sul terreno politico per costruire insieme a loro ulteriore controriforma con relativi correttivi. Non tutto della proposta di riforma della lega infatti è da buttare ma va considerato che nei mesi scorsi e dentro a questa crisi, si sono evidenziati nuovi elementi di criticità: perché non aspettare ed affrontare tutto allora con la dovuta ponderatezza? Siamo convinti infatti che questa proposta normativa non tenga conto di tutte le sensibilità dei territori al punto che sarà il principale oggetto di dialogo sulle politiche turistiche del dopo Failoni e del dopo lega in Trentino: chi verrà dopo di loro, dovrà aggiustare le cose se queste verranno portate avanti così come sono proposte ora.

Non è un caso che nella nostra idea di riforma sia compresa invece la possibilità di effettuare alcune fusioni solo su base volontaria. Ci sono Consorzi Pro loco già socialmente e tecnicamente pronti a muoversi insieme, Comuni o Comunità che spontaneamente pensano ad aggregazione diverse. Perché allora proporre tutto, subito ed per imposizione dall’alto? Perchè si ascoltano solo le APT che hanno tutto l’interesse ad accettare la riforma perché ottengono innegabili vantaggi? Tutti devono avere voce dove invece la funambolica tournée del dinamico duo provinciale, da loro stessi definita come miglior vestito democratico mai realizzato per una norma ha fallito. Viziata dall’impulsivo desiderio di fagocitare teste annuenti è stata mal presentata, quando ancora si trovava in fase fetale, spoglia dei dovuti particolari esecutivi necessari agli intervenuti per il giusto contributo critico.

– Dal titolo sotto ben si comprende la divisione nelle opinioni dei vari Presidenti APT, l’impressione è che si voglia far leva su questo. A decidere saranno utenti ed imprenditori.

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Per il momento la partita è nelle mani dei Presidenti di APT ai quali è conferito l’incarico di portare le loro variegate sensibilità in Conferenza di Marketing territoriale. Li  definirei eroi solitari fin quando il tenace assessore si facesse approvare dalla sua acritica ed accondiscendente maggioranza leghista questa sconsiderata norma, allora saranno molte le figure d’impresa e di sistema ad affiancarsi a loro e all’assessore per offrire la loro opinione su questo nuovo stato di cose.

Qualcosa mi induce a pensare che non sarà con profusione di complimenti.

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L’ALLEVAMENTO DELLA PECORA E DELLA CAPRA IN TRENTINO

Da Michele Dallapiccola 8 Aprile 2020

Realtà dimenticata o attualità di grande valore?

CONSIDERAZIONI GENERALI

Ogni tanto, sui social, specie nel periodo natalizio o pasquale, ci si imbatte nel simpatico “meme” che ci invita a mangiare un agnello per salvare un pastore. Questa considerazione parte dal fatto che i margini di redditività, di questo settore più di altri, in questi anni si sono via via sempre più assottigliati. Che il consumo di carne ovi-caprina non sia mai stato al centro della dieta trentina è un dato assodato. Le recenti mode alimentari, la pietà verso gli animali e le potenti campagne dei media anche di qualche leader politico contro il consumo di carne, non hanno certo giovato al caso.

RIAVVOLGIAMO IL NASTRO: UN PO’ DI STORIA

La terra trentina, oggi tanto favorevole alle sue genti come impareggiabile richiamo turistico, non è stata in passato altrettanto generosa. I campi ripidi, la buona stagione breve e gli esigui spazi concessi dai boschi osteggiarono in maniera decisiva lo sviluppo agricolo decollato solo qualche decennio fa grazie ad una imponente e specifica meccanizzazione e fondamentali aiuti pubblici. Il ricordo un passato nel quale l’allevamento di sostentamento era l’unica opzione di sopravvivenza è ormai perduto eppure era condotto in maniera capillarizzata tanto che quasi ogni famiglia nei paesi e quasi fin dentro alle città possedeva capi di bestiame. Anche se raccontata in maniera volutamente approssimativa questa però è una storia lunga, davvero molto lunga, che ha accompagnato l’uomo a partire dai suoi primi insediamenti fissi  del neolitico e fa quasi impressione, per questo, pensare che si tratta di un racconto dalle radici millenarie.

L’ALPEGGIO

Il ciclo della vita ha da sempre seguito le stagioni, si è ripetuto, e per certi aspetti si ripete ancora, anche ai giorni nostri. Nella stagione estiva il contadino si è da sempre trovato maggiormente impegnato, dovendo approfittare della buona stagione per approntare le derrate con le quali avrebbe superato l’inverno, mandava in malga le vacche in malga sui pascoli non sfalciabili sia per recuperare foraggio sia per risparmiare tempo. Lo sfruttamento dei pendii ancor più ripidi, inagibili ai bovini, trovava invece naturale l’utilizzo da parte di greggi di capre e pecore gestite da forme di conduzione societaria. I proprietari mandavano al pascolo le bestie pagando la loro quota attraverso “la part”, metà della figliolanza del gregge per intenderci. I vari padroni, per riconoscere i propri animali erano – e sono tuttora soliti – contraddistinguere le pecore di loro proprietà tramite la “nova”, un pezzetto di orecchio asportato in forma diversa a seconda del proprietario, chi una tacca rotonda a destra, chi una quadrata a sinistra, chi due, chi una per parte.

IL PASTORE, LA PASTORIZIA E LA TRANSUMANZA, UN MESTIERE MILLENARIO

La figura del pastore delle pecore durante l’inverno non smetteva di occuparsi del suo ruolo rispetto al suo collega “malgar”, poiché, mentre le vacche ritornavano nella stalla dei rispettivi proprietari, le pecore rimanevano a lui in custodia. Egli poteva prendere alle sue dipendenze “servi”, ragazzi o persone afflitte da qualche forma di fragilità sociale, familiari o soci “ala paradura” proprietari di nuclei troppo piccoli per poter muoversi da soli e che per questo si associavano liberamente per una o più stagioni. Alla fine dell’estate si scendeva dalla montagna, si “desmontegava” e si conduceva il gregge – “se parava ‘l s-ciapp” – verso sud, fuori provincia, dove le precipitazioni nevose sono solitamente scarse, a “far inverno zo per l’Italia”. In primavera gli agnelli maschi non destinati alla riproduzione e nati durante l’inverno detti “gabardi” o “tabaroni”, venivano castrati e diventavano “castradi” e dopo aver trascorso l’estate ad ingrassare in montagna venivano restituiti nell’autunno successivo, ai loro rispettivi proprietari che, finalmente, potevano preparare quella specialità’ trentina conosciuta come “castra’ coi capussi”, carne in pezzi, arrostita a fuoco lento con il cavolo. Per secoli la conservazione è stata affidata al clima, alla stagione o al periodo che con i primi freddi dell’autunno e la collaborazione di una buona salatura ne avrebbe consentito una più prolungata durata. La tipologia del prodotto era unica, il castrato per l’appunto. Nella sua fase da latte veniva solitamente preservato, avrebbe reso troppo poca carne se maschio e potenziale preziosa fattrice se femmina.

UN GERGO MAI TRAMONTATO

Da “l’aia” il luogo del riposo notturno, alla “parada sul viegro” cioè il pascolo intonso tanto pericoloso per “el rebutt” perchè rispunta erbosa troppo ricca di nutrimento e quindi dannosa per l’apparato digerente e ungueale: tutto ha un proprio termine tecnico. Il gregge, “el s-ciapp” è come grande carovana che un tempo si muoveva con l’aiuto dei “mussi” gli asini, con le “bussacche” che trasportavano le cose del pastore e gli agnelli appena nati poco lesti a camminare. Ai giorni nostri queste cose le traghettano i Pick-Up o i Daily, opportunamente attrezzati. Rispetto ad oggi, dove viene fatta anche una sapiente selezione genealogica c’è stato un tempo dove per necessità si è allevato, custodito e condotto cioè “parà” tutto e tutti, fino all’attesa dell’opportuno cliente “pauer”, magari. “Sterpe” pecore incapaci di riprodursi, “false dala foganela” con mammelle atrofizzate da qualche mastite, “sgherle” genericamente le zoppe, “agnei dala pel”, neonati orfani o gemelli che venivano vestiti con la pelle di un agnello morto per imbrogliare l’olfatto della madre convincendola a “torlo su” adottarlo. E poi “mosche” col muso macchiato come la razza di Lamon, “ocialine” con gli occhi circondati da una grande macchia nera come la razza Tingola, “lore” pezzate nere, “rasine” dalla lana riccia e corta “monche” con il padiglione auricolare geneticamente corto “cuche”, addirittura senza, come la razza Alpagota, “cacce” di taglia corporea più leggera come l’altoatesina Bergschaf per finire ai fortunati “moltoni”, visto che dal destino di venir castrati si salva un maschio ogni 100 femmine. Alla fine della stagione ogni animale, per necessità o per virtù, avrebbe trovato il suo destino.

L’ATTUALITÀ DI UN ALLEVAMENTO MILLENARIO

  • Si racconta che la pecora ti entri nel sangue che sia qualcosa che se hai conosciuto da piccolo non abbandoni più. Io ci sono nato in mezzo ed è cosi per me e per molti miei amici e in me conservo il nitido ricordo dei racconti di un’infanzia difficile di mio padre, che invidiava i suoi vicini possederne alcune. Nella Civezzano del secondo dopoguerra la povertà regnava sovrana come su gran parte del Trentino e ciascuno si arrangiava come gli era possibile. Negli anni ‘50, in primavera, i ragazzi del paese raccoglievano i ciclamini e raggiunta la più ricca Bolzano, vendevano i mazzolini alle signore sotto i portici. Un giorno della primavera del 1954, all’età di 8 anni mio padre si aggregò ai suoi fratelli e nel suo primo viaggio portò a casa 1850 lire. Per 6 anni lavorò cosi mantenendosi, risparmiando e sognando il momento in cui se ne sarebbe comprata una. Quel sogno si avverò con l’acquisto della sua prima pecora al mercato di Pergine, era una “mosca” con le macchiette sulla faccia come la razza di Lamon e se la portò a casa da solo: di lì in poi, non lo fermò più nessuno. Anch’io ricordo la mia prima pecora in maniera molto nitida, si chiamava Brava era “mosca” e poiché l’avevo allevata col biberon, come fanno tutti gli agnelli, mi voleva un bene del mondo e mi seguiva ovunque.

L’allevamento ovino che è sopravvissuto ai nostri giorni vive grazie alla grande passione di alcune persone che tra pochi i fattori positivi, gestiscono le molte difficoltà. Ci raccontano del grande senso di libertà che questa professione dona: nessuno mi comanda, dicono. E poi, il piacere di allevare pecore, di vederle mangiare, partorire, crescere anche se la redditività è sempre più risicata: chi lo fa oggi è mosso sopratutto da passione. Per questo oggettivo e unanimemente riconosciuto motivo l’Europa corrisponde anche a questi allevatori una compensazione dei costi fissi. Li riconosce a chi mantenga il territorio secondo questo principio: la terra viene percepita come bella e gradevole se appare curata. In quanto tale risulta abitabile e appetibile anche all’impresa: quella turistica in primis. Chi ci guadagna, attraverso la redistribuzione della fiscalità, è giusto contribuisca finanziariamente verso chi lavora con poche soddisfazioni economiche proprio in un’ottica di collaborazione collettiva. Il resto lo fanno loro, le pecore col loro brucare, perchè grazie alla loro grande adattabilità, questi animali sono assolutamente idonei alla preservazione i pascoli specie di altitudine assolvendo in questo allo scopo richiesto dall’assegnazione dei premi PAC, da un lato, e dall’altra a mantenere netto il confine tra il verde scuro dei boschi e il verde chiaro dei prati. E’ il rimboschimento di ritorno, il principale nemico del paesaggio, quello della confusione dei roveti e delle acacie, e in questo combattimento, le greggi sono un ottimo alleato.

UNA SALVEZZA CHE VIENE DA LONTANO

Il secondo grande fattore che ha preservato un po di soddisfazione economica a questo settore produttivo, dai primi anni ‘90 in poi, è stata la presenza dei mussulmani. Macellare un agnello per questa popolazione oltre ad essere un’abitudine sociale ancora piuttosto diffusa mantiene anche ad un’alta valenza religiosa. Così, quelle persone tanto affezionate alle tradizioni nelle loro terre di origine, hanno trovato facile punto di collegamento in una analoga ma ben più laica tradizione millenaria locale: la pastorizia. E poiché qui è praticamente scomparsa la tradizione di castrare in primavera i nati nell’inverno di consumarli soprattutto in autunno da parte dei locali, per la vendita dei capi non destinati alla rimonta il pastore si rivolge agli islamici, direttamente o attraverso i pochi commercianti sul mercato italiano. Partendo da quella pecora di quattordicenne, mio padre diventò uno di loro. Ai giorni nostri, il numero complessivo dei mercanti di pecore specie qui nel nord-est italiano, sta vivendo una fase di contrazione parallela al numero di aziende vinicole con le quali trattano. Il loro numero ormai sta sulle dita d’una mano e anche loro insieme ai pastori aspettano con grande apprensione e soddisfazione la festa islamica dell’EID KABIR, detta del sacrificio, una tra le più importanti ricorrenze religiose del mondo islamico.

  • Mi fa sorridere osservare le contraddizioni dei leghisti che partecipano alle riunioni di pastori offrendo loro aiuto politico. E’ nota la loro contrarietà alla presenza degli islamici sul nostro territorio che però, per ora, come abbiamo capito sono praticamente gli unici clienti dei pastori!

IL VOLTO DELL’ALLEVAMENTO AI GIORNI NOSTRI

Quanto sopra descritto non ha subito significativi mutamenti provocati dal trascorrere del tempo e nonostante i “pastori delle pecore” siano poco più di una ventina, calpestano ancor oggi con le loro greggi i greti dei nostri torrenti e risalgono ancora, durante la stagione estiva, le nostre cime alla ricerca dell’erba più verde. Il reperimento del pascolo è parzialmente facilitato dal fenomeno di abbandono delle malghe che ha lasciato spazio agli ovini in quelle malghe per bovini caratterizzate da accessi particolarmente difficoltosi che ne determinarono precoce dismissione. Diviso in due grandi raggruppamenti l’allevamento delle pecore si compone di una parte stanziale ed una transumante. Nel complesso le due componenti danno una numerosità di circa 30000 capi: circa 5000 stanziali, il resto in transito sfruttando pascoli marginali dei quali abbiamo parlato poco sopra, avvalendosi nei loro fini produttivi più’ della tradizione che della scienza. Oggi il pastore è solitamente proprietario del gregge e se conduce qualche capo per conto terzi, e solamente arrotondare, fare un favore ad un amico od avvantaggiarsi della collaborazione degli altri proprietari nei momenti di maggior lavoro quali controlli sanitari o tosatura che pure è ormai un’operazione di valenza sanitaria. 

PICCOLA PARENTESI SULLA LANA E SUL LATTE

La lana infatti non ha più praticamente nessun valore commerciale dunque la tosatura serve a prevenire patologie dermatologiche ecto-parassitarie (rogna e zecche) praticamente endemiche su questo tipo di bestiame. Ciò è accaduto perchè fibra della lana delle nostre pecore, che hanno attitudine esclusiva alla produzione della carne, è corta e grossa e non può competere nella qualità per la filatura con quella lunga e fina delle razze australi da lana. E’ anche opportuno ribadire inoltre che le pecore trentine non producono che il latte per il proprio agnello. Le razze allevate, biellese e bergamasca prevalentemente, sono di animali pesanti dalla mammella piccola. 

  • È un fatto evidentemente poco conosciuto al punto che il Presidente del nostro consiglio Regionale, qualche tempo fa, con spiccata sicumera mi invitava riflettere sull’interessante opportunità di reddito che offrono la lana ed il latte di pecora. Chissà chi gli avrà fatto vedere il pecorino di Barco o il loden di Telve?

LA CAPRA IN TRENTINO

In Trentino il compito di produrre latte non-bovino è egregiamente assolto dal settore caprino. Per la nostra Provincia il tipo di allevamento attualmente più diffuso è qualcosa di non tradizionale ma importato probabilmente dall’Oltralpe francese. Parliamo di un allevamento molto tecnico, con animali che passano il loro tempo prevalentemente dentro a strutture dedicate che vengono gestite secondo i più moderni dettami della zootecnia. La carne in questo caso è un sottoprodotto d’allevamento. Come in ogni mammifero, la produzione del latte si instaura al parto: se verrà alla luce una femmina questa sarà destinata alla rimonta se maschio sarà consumato come capretto perchè a scopo riproduttivo come becchi, ne vengono lasciati crescere solo l’1 % del totale. Gli ovi-caprini hanno un ciclo di circa 20 giorni, stagionale e che risente del ritmo nictimerale negativo (il raccorciamento delle giornate). La gravidanza dura 5 mesi e dall’autunno genera un grande flusso di nati in primavera. L’abbondante offerta di inutili (poveri) maschietti legata ai parti ne ha determinato l’abitudine al loro consumo durante il pranzo pasquale. Questa pietanza tradizionale è reperibile in provenienza locale dagli stessi canali dell’ovino, il cui consumo è legato all’ovinicoltura per gli stessi motivi della capra. Oltre ai canali di distribuzione delle macellerie e della GDO, che si approvvigiona essenzialmente fuori Trentino, va apprezzato l’impegno della federazione allevatori che su prenotazione prepara il prodotto ritirabile direttamente presso la sua sede. Da segnalare che in questo giorni questo tipo di acquisto è promosso a titolo di stimolo positivo al consumo locale anche da Latte Trento, cooperativa che di questi allevamenti acquista il latte e lo trasforma di prelibatissimi formaggi caprini. Ma se il Trentino si sta cominciando a perdere l’abitudine al consumo anche di questo tipo di prodotto, la fotografia di ciò che accade fuori da qui, ci rappresenta che nemmeno a livello nazionale questa carne gode di buona fortuna. Eppure c’è stato un tempo, direi secoli, fino al secondo dopoguerra in cui la capra era molto diffusa al punto da esser percepita la vacca dei poveri. Oggi, oltre alla situazione rappresentata sopra questo animale sopravvive in sparuti gruppi di qualche decina di capi dentro alle greggi transumanti dei nostri pastori con una funzione molto importante però, fanno da balia agli agnellini orfani o gemelli le cui madri possiedano poco latte.

LA CARNE ROSSA SULLA NOSTRA TAVOLA.

Nel carrello della spesa degli italiani la troviamo con aspetti di contrazione meno gravi che a livello locale ma a ben vedere la disaffezione verso questo prodotto è guidata da luoghi comuni che affliggono la simpatia verso la carne in senso lato, condizione che rende ancor più difficilmente contrastabile l’abbandono del consumo osteggiato da falsi miti e luoghi comuni. Va meno peggio nel settore dell’HORECA e se tra poco vedremo perchè questo sia praticamente ininfluente, è bene aprire prima parentesi per parlare dei principali FAKE che circolano su questo prezioso alimento in genere ponendoci delle domande.

  • Ma e’ troppa la carne che mangiamo? Con l’OMS che considera i 100 g di carne rossa al giorno come consumo raccomandato noi siamo in realtà il terzultimo paese d’Europa
  • Ma la carne fa venire il cancro? Secondo lo IARC  sono consumi fino a 500 grammi di ad esser pericolosi e con loro i derivati di conservazione e cottura. A contatto con la combustione diretta e l’affumicatura assorbe idrocarburi policiclici aromatici e nitrosamine. Sono questi i veri componenti della cancerogenicità.
  • La carne non è sostenibile, consuma 15000 litri d’acqua su kg per essere prodotta! Nel conto si comprende l’acqua piovana sugli ettari pascolati a livello mondiale. In Italia grazie all’uso efficiente e regimato dell’acqua siamo a meno di un decimo 
  • Gli allevamenti inquinano più delle automobili? La FAO stima che l’allevamento produca solo tra il 10 e il 15 percento dei gas serra complessivi
  • La carne contiene ormoni e antibiotici e mangiarla è pericoloso! L’utilizzo degli ormoni è vietato in Europa ormai da 40 anni mentre sugli antibiotici esiste una feroce stretta del sistema sanitario nazionale ed europeo

LA CARNE OVINA SULLE NOSTRE TAVOLE.

A queste considerazione generali che in termini fin troppo succinti ho riassunto sopra si deve aggiungere che la carne ovina subisce un’ulteriore urto mediatico derivante dal senso sentimentale di tenerezza e di empatia che l’agnello produce nella pubblica opinione. Proprio relativamente alla tipologia di animali consumati va doverosamente che vengono utilizzati animali adulti e non certo teneri agnellini da latte come quelli mostrati alla TV. In molti ricordano le vergognose campagne promozionali, strumentalmente utilizzate per politica di Berlusconi che allatta un agnello. Quelle azioni hanno contribuito non poco al disfacimento di questo mercato al punto che, secondo i dati sulla macellazione forniti dall’ISTAT, nel giro di 10 anni la quantità si è più che dimezzata da 7 milioni circa di ovi-caprini macellati nel 2006 si è arrivati a meno di 3 milioni nel 2018. Questo volume macellato rappresenta poco meno del 1.5% del consumo di carne bovina, ciò significa che se in Italia consumiamo meno di 20 kg di carne bovina pro capite mentre di ovino ne consumiamo mediamente poco più di 2 kg. Di questi, le macellazioni locali coprono le 56.000 tonnellate di carne di domanda solo per circa 30.000 tonnellate mentre la restante parte del consumo viene coperta da import.

MA COME VIVONO DAVVERO LE PECORE DA NOI?

Per imporre metodi di allevamento rispettosi del benessere animale sono stati scritti fior di testi, decreti, editti comunitari  ed ogni sorta di disciplinare auto-imposto. Ebbene la pastorizia transumante di tutta questa burocrazia non ha mai dovuto nemmeno minimamente prendere coscienza dell’esistenza perché per antonomasia essa rappresenta il miglior metodo di allevamento esista per un qualsivoglia animale domestico: dentro al gregge gli animali conducono una vita simile alla vita naturale degli ovini selvatici. Per figurarci un parallelo, essi vivono come e dove, almeno d’estate, vive il muflone (un selvatico sardo avvistabile perchè trapiantato anche in Val di Fassa). Queste caratteristiche di allevamento, oltre a generare animali indubbiamente molto sereni, si riflettono positivamente anche sulle loro caratteristiche fisiologiche. In pratica si tratta di soggetti molto sani tendenzialmente longevi e che abbisognano davvero di scarsissimi trattamenti farmacologici al punto da poterli ritenere pressoché esenti.

  • Formalmente non si può dire che questi allevamenti siano condotti secondo il regime biologico ma mi sento di poterli definire animali dalle carni naturali dove per naturale intendo ciò che in tutto e per tutto sia assimilabile al mondo che lo circonda. Per meglio dire, il tenore di sostanze esogene all’interno dell’organismo di questi animali è esattamente lo stesso che alberga dentro al nostro organismo: un assunto facile da credere poiché questi animali si nutrono esclusivamente di erba non coltivata. Vi sono vere e proprie campagne di marketing che puntano proprio su questa caratteristica, definendo questi, animali GRASS-FED, nutriti soltanto con erba.

PERCHÉ ALL’ESTERO CI SONO PIÙ ALLEVAMENTI CHE DA NOI?

Le stesse ragioni uguali e contrarie che hanno fermato il consumo specialmente di questa carne a livello nazionale quali tradizione, abitudini di consumo e caratteristiche di territorio, ne hanno positivamente sostenuto invece l’allevamento all’estero. Su questi temi vale la pena aprire una piccola parentesi di confronto direttamente con la condizione trentina. A fronte delle estensioni adibite al pascolo del Nord Europa che, essendo recintabili, rendono inutile o marginale la presenza dell’uomo, l’allevamento trentino praticato tramite pascolo vagante, richiede la presenza costante di manodopera alla quale non possono essere garantiti giorni festivi a scadenza fissa. Si tratta di un lavoro molto duro con alcuni margini di grossa responsabilità nella conduzione del gregge specie quando questo incontra situazioni di pericolo come attraversamenti stradali, fluviali o momenti di maltempo che rendono gli animali irritabili e poco avvezzi al rimaner fermi. E’ per questi motivi che la manodopera in questo settore è sempre stata afflitta da condizioni di precariato e se in questi ultimi anni le cose sono leggermente migliorate, è grazie all’arrivo prevalentemente dall’Est di personale disponibile ai sacrifici richiesti. Va inoltre considerato che nell’operoso Trentino oggi c’è la concorrenza di un mercato del lavoro che si trova ad offrire prospettive sempre più allettanti. I problemi della pastorizia nel reclutamento del personale hanno negli anni assunto dimensioni via via più limitate specie da quando questi allevamenti si siano organizzati con un sistema prevalentemente familiare. Nel frattempo, per il settore locale sono invece fortemente aumentate altri tipi di pene, ben peggiori che quella sopra descritta.

  • i costi fissi molto elevati che rispetto all’allevamento estero determinano costi di produzione più che doppi del prodotto finito rendendo quello di importazione assai concorrenziale.
  • giocano ruoli di pesante sfavore anche le norme sugli spostamenti nei Comuni, frequentemente avversi a queste pratiche o anche semplicemente al transito delle greggi
  • la presenza sempre più invadente e nociva dei grandi carnivori, lupo orso e in Friuli sciacallo dorato
  • terribile anche la concorrenza sleale di Imprese Agricole che fanno della gestione dei Titoli Pascolo europei una vera professione spesso anche speculativa, innalzando il prezzo degli alpeggi, per farne incetta e privando in questo modo i pastori veri della possibilità di poterne usufruire in maniera genuina.
  • diffusa disaffezione al consumo di carne ovina con limitazioni fortissime al collocamento commerciale del prodotto pressoché interamente in mano al sistema commercianti/islamici.

QUALI SONO LE CONSEGUENZE SULLA PRODUZIONE LOCALE.

La situazione d’oggigiorno si riflette negativamente sui risultati economici delle aziende produttrici; in particolare l’unica strada perseguibile dalle stesse dovrebbe essere una politica di mercato basata su prezzi oltremodo allettanti, cosa ovviamente impossibile! E così per questo tipo di merce, specialmente ai clienti dell’HORECA , vengono proposti solo i tagli facili da preparare e assolutamente alla moda che sono di provenienza estera dove allevare costa meno: chi non ha mai assaggiato le scottadito o le costatine di agnello nei nostri trentinissimi ristoranti? Ebbene merce buona, sana, controllata ma tutta di importazione! E se un minimo di risposta alla concorrenza estera può essere praticata da allevatori operanti su scala industriale con decine di ettari a disposizione, questa condizione si verifica solo con l’assetto territoriale agricolo che, nel nostro paese, è presente prevalentemente al Sud dove per altro l’allevamento tradizionale prevede prevalentemente razze da latte. Ecco perchè l’abbacchio romano è il parallelo del nostro capretto in Trentino: un sottoprodotto della produzione del pecorino come lo sono anche gli arrosticini, un sistema per rendere gradevole al gusto il sapore forte della pecora vecchia non più adatta alla produzione di latte. Logisticamente e tecnicamente questi allevamenti sono equiparabili al sistema maggiormente rappresentato a livello europeo (Francia, Inghilterra, Olanda), dove l’attitudine degli animali però è quella da carne anziché latte. Anche in quei contesti, molto più che in Italia – e in Trentino – si stagliano grandi estensioni prative con clima mite ed erba tutto l’anno e che permettono spese di gestione pressoché nulle come abbiamo avuto modo di ripetere più volte qui.

PERCHÉ’ CONSUMARE CARNE OVINA?

Spiegato il perché per i piccoli produttori, ovvero per la maggior parte degli allevatori presenti sul territorio provinciale, la realtà e le prospettive di sviluppo non sono incoraggianti, vorrei però provare a stimolare una rinnovata curiosità al consumo di questo prodotto parlando allora delle sue caratteristiche. Se si potesse prescindere dal costo di produzione e della moda culinaria si potrebbero apprezzare delle differenze enormi tra la carne in generale, l’ovino importato o quello allevato in strutture chiuse o infine quello transumante. Si tratta di fondamentali differenze di tipo qualitativo sulle quali mi sembra utile spendere due parole. Negli allevamenti nord europei Inghilterra, Francia o Olanda, la qualità è legata alle razze allevate che offrono un ottimo rapporto ossa-muscolo, particolarmente adatto al sezionamento. La qualità legata al tipo di nostra produzione invece non presenta mai la copertura di grassi in eccesso data la modalità di allevamento che mantiene gli animali in moto favorendo lo sviluppo muscolare rispetto al grasso sul peso totale. 

  • A sostegno di questa tesi, riconducibile anche ad esperienze personali sul campo, lo voglio spiegare con uno studio condotto in Canada nel 1988, dall’Università’ di Alberta. Può sembrare datato, ma il funzionamento del corpo animale non cambia certo in così poco tempo rendendo lo studio rappresentato ancora attualissimo.
  • Furono condotti quattro esperimenti, nei quali quattro giovani pecore vennero sottoposte a:
  • a) carico di tipo statico con alimentazione limitata rapportata al 65% del peso corporeo
  • b) carico di tipo statico con alimentazione ad libitum;
  • c) esercizi erano spinte a saltare su piattaforme attraverso percorsi progressiva resistenza, nei quali le pecore circolari
  • d) esercizi di endurance
  • Gli esercizi comportanti basso sforzo, aumentarono l’assunzione di cibo, ma non influenzarono l’incremento medio ponderale o la proporzione di muscolo, ossa e grasso nella carcassa. Gli esercizi ad alto sforzo determinarono una depressione dell’appetito e ridussero l’incremento di peso. In sede di macellazione conseguenti minori pesi vivi causarono un incremento della proporzione di ossa e muscolo ed un decremento della proporzione di grasso, come e normalmente osservato in carcasse più’ leggere. Gli effetti dell’esercizio sulla distribuzione del muscolo e delle ossa diedero uno stimolo diretto di crescita sia sui muscoli e sulle ossa individualmente implicate nell’esercizio, sia su quelle che non erano direttamente interessate Il peso del grasso localizzato e la sua distribuzione non furono influenzati dall’esercizio, ma il grasso intramuscolare chimicamente determinato decrebbe. Le pecore sottoposte ad esercizio consistente fornirono carni più tenere; questo fu associato al più alto contenuto di proteina fibrillare ed un più basso contenuto di collageno, elemento che fa risultare più tenera la carne. I muscoli dei capi sottoposti ad esercizio di endurance ebbero una più alta proporzione di fibre a bassa ossidazione, più brevi sarcomeri, ed un più lento declino del Ph delle carni post mortem, rispetto ad altre carcasse.

In conclusione, anche dal punto di vista scientifico la carne ovina transumante presenta interessantissime peculiarità rispetto ad altre forme di allevamento italiano o estero. 

UNA CARNE DAL SAPORE DECISO: LE PROPRIETÀ ORGANOLETTICHE DELLA CARNE OVINA

La scarsa informazione al consumatore sulle proprietà nutritivo-alimentari della carne ovina, che la tradizione vuole molto grassa e di sapore estremamente pronunciato, in effetti costituisce ostacolo decisivo ad una sua maggiore diffusione. Come scientificamente dimostrato dallo studio sopra riportato si tratta di un’opinione sostanzialmente errata, poiché se è vero che all’asporto la carne ovina può sembrare ricca di depositi adiposi, e altrettanto vero che si tratta di depositi molto localizzati e quindi facilmente toelettabili. Per contro in queste carni mai si rinviene la la prezzemolatura o le micro infiltrazioni che sono invece facile reperto nelle altre carni rosse e che sono per questo responsabili del loro elevato tenore in grassi. Il secondo, deciso aspetto considerato è quello del sapore, dettato sicuramente dal ricordo di momenti del passato in cui la macellazione riguardava soprattutto castrati, ovvero soggetti le cui carni possiedono spiccate caratteristiche. La situazione ora è ben diversa non essendo più prodotto quel tipo di carne. Il sapore di quest’ultima qualità produttiva costituisce una valida alternativa alla vasta scelta di carni bianche presenti sul mercato, rispetto alle quali si stanno facendo sforzi straordinari per arrivare ad avere standard di allevamento e di produzione che non si avvicinano ancora nemmeno lontanamente a ciò che accade nel meraviglioso mondo che stiamo raccontando qui. A mio avviso inoltre va osservato che per le altre carni sono soprattutto l’arte culinaria e non il gusto intrinseco a determinare l’apprezzabilità. Da aggiungere che il prodotto locale si avvale di tempi di trasporto minimi, tra luogo di macellazione e luogo di consumo, con enorme vantaggio in termini di grado di freschezza del prodotto, eco-sostenibilità con attenzione all’ambiente e minore stress nel momento della macellazione.

  • Se vogliamo sezionare aspetti qualitativi con il bisturi salutistico e medico va detto che la carne ovina è uno degli alimenti più ricchi di vitamina B: 100 grammi di agnello contengono circa 140 mg di vit. B1 ed è uno degli alimenti con la maggior percentuale di minerali, quali Fe, Zn, P, Mg, Ca, e K. Contrariamente a quanto si crede, anche i grassi contenuti nella carne hanno un potere nutritivo-fisiologico di particolare importanza. per la qualità sono però essenziali gli acidi grassi e la loro composizione. Grazie all’età degli animali utilizzati ed ai migliori sistemi di allevamento il grasso della carne ovina contiene il 40% di acidi grassi insaturi e circa il 10% di acidi grassi saturi a catena semplice. Il grasso di questa carne insomma è costituito per il 50% da acidi grassi, elementi che non influenzano ma addirittura diminuiscono il livello di colesterolo e che devono essere assunti attraverso l’alimentazione poiché il nostro organismo in grado di sintetizzare. Dal mondo animale attraverso questa carne può arrivare un aiuto alla salute un pò come da quello delle piante con l’olio di oliva di qualità del quale tutti conosciamo le proprietà benefiche.

E’ IMPORTANTE LA GESTIONE DELLA MACELLAZIONE?

Certo! E per questo voglio aprire una piccola parentesi su questo argomento: i livelli di stress vanno evitati in ogni modo  innanzitutto per ragioni di natura etica e di pietà verso gli animali ma è altrettanto risaputo che brevi ed agevoli periodi di trasporto ottenibili solo con allevamento e macellazione locali vanno d’accordo con la produzione della carne di buona qualità. Nei trasporti prolungati invece, gli animali provano un forte stato di stress e la risposta dell’organismo a questo stato di cose è la secrezione di cortisolo, l’ormone della reattività che in fase di macellazione determina però la produzione di carni con maggiori difetti di conservazione. Eppure?  Beh, nonostante questo lungo elenco di condizioni positive non c’è stato niente da fare, questo vantaggio non è stato comunque in grado di compensare la forza competitiva del prodotto importato. Prezzo, tagli selezionati riduzione della domanda e cultura di domanda e offerta hanno hanno determinato il definitivo surclassamento da parte del prodotto estero rispetto al prodotto locale. Anche la sensibilità pubblica di mantenere queste preziose strutture ha visto il consenso al loro sostegno soccombere nel tempo a fortune alterne specie nella recente cronaca. Nel luglio del 1991 e nel febbraio 1992, stringenti norme Europee decretarono la chiusura degli ultimi due macelli pubblici operanti in Provincia: Pergine e Trento. Ciò avvenne in un momento in cui la concorrenza di prodotto importato dall’estero si faceva sentire sempre più. Mode alimentari che tramontano e assenza di macelli per oltre un decennio furono il definitivo colpo di grazia al consumo di carne ovina locale.  Solo nel 2003 con la riapertura in sede diversa di uno stabilimento a Pergine, e negli anni successivi il territorio ritrovò questi preziosi servizi grazie anche ad altre iniziative che via via partirono ad opera da vari privati sull’intero territorio provinciale. Come ben si esemplifica nella comune espressione, tutto questo è avvenuto quando i buoi sono scappati. Gli alcuni stabilimenti locali sono utilissimi alla filiera della carne locale ma non sono stati capaci di invertire un trend che ad oggi sembra ormai definitivamente compromesso.

  • Anche per questo è sembrata così incomprensibile la posizione pubblica di alcuni Sindaci dell’Alta Valsugana-Bersntol (che è la Comunità col maggior numero di capi Ovini di tutta la Provincia) di non agevolare in ogni modo il mantenimento della struttura. La pressione mediatica delle imprese del posto, il lavoro di mediazione del sindaco di Palù e fondamentali disponibilità private, hanno infine preservato almeno una parte di questo prezioso servizio.

IL DIFFICILE ACQUISTO DI CARNE OVINA LOCALE

Purtroppo ci si deve armare di santa pazienza ma non è un’operazione impossibile. Il metodo migliore è probabilmente quello di contattare il proprio macellaio di fiducia, saprà lui come rintracciare i produttori. L’Associazione di questi Artigiani dell’Arte Rossa, si è riunita in un Marchio Macellerie di Montagna, che li rende più facilmente reperibili, web compreso. Insieme a loro e alle altre Botteghe non aderenti ma per loro natura di forte radicamento territoriale, esiste un collegamento con alcuni macelli locali che insieme possono offrire il nesso con questa quasi ormai dimenticata tradizione.

  • A titolo di esempio vorrei raccontare della virtuosa filiera che si è creata in Alta Valsugana dove l’allevamento ovino è ancora piuttosto ben rappresentato e il macello Agrinatura di Pergine. La macelleria Linea Carni di Baselga di Piné, sempre per citare un esempio, si occupa poi molto volentieri del sezionamento e dell’eventuale preparazione pre-cottura.

NOZIONI DI TECNICA GASTRONOMICA

Le lunghe preparazioni tradizionali al forno, arrosto o con lungo impegno possiamo riservarle ormai solo ai cosciotti o a chi si giustamente ancora affezionato alla preparazione tradizionale che rimane sempre possibile. Notevole anche la preparazione tradizionale novembrina delle “pezate de Agnelo” a Castelnuovo a cura della modernissima e servitissima macelleria Simonetto La preparazione più convincente della carcassa oggi però può forse esser quella predisposta proprio dagli artigiani macellai che disossano quasi in toto, eccetto i carrè, dai quali è sacrilegio non ricavare le bracioline conosciute anche come famose scottadito. Il resto cioè pance, spalle, e costine anzichè a tocchetti nel forno o “coi capussi” possono venir valorizzati al meglio per la produzione di interessanti hamburger, salutari e saporiti. Immaginatevi a questo punto il valore di questo prodotto a base di carne bianca o rossa in rapporto a quello che il mercato ordinariamente offre. 

CONCLUSIONI

Credo a questo punto sia chiaro perchè che sia per passione, curiosità o anche solo voglia salutistica, procurarsi della carne ovina sia diventata una complicatissima impresa gastro-nautica. Ho voluto scrivere questo lungo e mi scuso, forse a tratti noioso pensiero, perchè posso garantire che terminata l’impresa di approvvigionamento e percorsa fino in fondo quest’esperienza nutrizionale e di gusto, ci potremo sentire più ricchi di valori e di soddisfazione.

Spero in questa piccola dissertazione di averne almeno un pò spiegato il perché.20200403_131635-01

Antonio: alle Viote nell’autunno del 2001, l’ultimo.

8 Aprile 2020 0 Commenti
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TURISMO POST CRISI: A QUANDO LA RIPRESA?

Da Michele Dallapiccola 7 Aprile 2020

Provando a perscrutare il nostro futuro post crisi, uno degli scenari più difficili da leggere è sicuramente quello che coinvolge settore del turismo. Non a caso cito questo settore tra tanti perchè se il contingentamento degli spazi tra le persone e l’utilizzo dei DPI nell’artigianato e nell’industria sono facili da immaginare, lo sono, seppur in misura minore, anche nel commercio.

Ben più difficile risulta pensare a scenari intermedi per il settore turistico: quanti sarebbero disposti a trascorrere  serenamente una vacanza in guanti e mascherina? Insomma nella mia personale e necessariamente umile valutazione rimango convinto che la vera normalità che consegnerà piena potenzialità al settore del turismo, arriverà solo dopo che quest’epidemia sarà stata definitivamente sconfitta. Questo stato di cose potrà avvenire solo dopo l’applicazione su scala mondiale della vaccinazione, unico fatto che potrà garantire quell’immunità di gregge necessaria a tenere a bada il terribile flagello che ha afflitto l’umanità in questo frangente. Ma per quanto io sia ottimista, mi riesce difficile immaginare, per ciò che ci racconta la cronaca scientifica in questi giorni ci, che tutto questo avvenga in tempi brevi. E se nelle prime fasi di questa epidemia si pensava alla stagione estiva come momento di riapertura post crisi oggi comincia ad adombrarsi qualche dubbio anche su quella prossima invernale. Un’attesa durante la quale gli esperti ci consigliano sarà necessario seguire indicazioni tecniche per cercare di gestire la fase di mercato sospeso che tristemente riguarda tutti gli strati dei nostri affezionati clienti e partner commerciali. 

Fortunatamente, le relazioni di oggi, anche se molto lontane possono essere mantenute vive curando i rapporti attraverso il web e la telecomunicazione, formidabili strumenti in grado gestire i contatti con i nostri clienti e fornitori, siano essi diretti che intermediari commerciali.

L’esortazione collettiva è di concentrarsi sul tenere in ordine il proprio stato d’animo, la propria dimora, anche lavorativa e la propria rete di contatti, e non vale solo per le imprese ma anche per tutti noi che stiamo aspettando che il nastro della vita si riavvolga il prima possibile alle condizioni pre coronavirus. 

La società di oggi corre in fretta, sulle linee della fibra ottica, sui segnali dei satelliti, sulle ali degli aerei, ed è utilizzando queste formidabili conquiste, che tutto pur alla spicciolata, ripartirà. E se la ricostruzione dopo secondo conflitto mondiale impiegò almeno un ventennio per riconsegnare fiducia agli italiani, quelli che allora furono anni, domani per noi saranno mesi. Tanto breve sarà questo periodo quanto più tra pane&tecnologia riusciremo a mantenere alta la solidarietà sociale, quella tipica della gente di montagna. Turismo con Agricoltura in primis, ma poi volontariato, in genere e delle Pro loco, per animare le località, attività culturali, dei ristoratori, delle Strade dei Sapori, ancora sport, natura e molto molto altro.

Forse, impareremo a volerci più bene e a tollerare un po’ di più i trattori che vanno piano o le code del traffico turistico. E sarà vero catalizzatore della ricostruzione del Trentino, il guardare il nostro vicino sotto una diversa luce avendolo conosciuto da un punto di vista diverso, quello delle reciproche finestre, durante la quarantena.

7 Aprile 2020 0 Commenti
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CARENZA MANODOPERA AGRICOLA: QUALI LE MISURE DELLA GIUNTA PER SCONGIURARE GRAVI RIPERCUSSIONI SUL SISTEMA AGRICOLO TRENTINO?

Da Michele Dallapiccola 5 Aprile 2020

E’ alto il grido di allarme che si solleva dal settore agricolo ma non stiamo parlando di un argomento nuovo né si può dire che la politica non stia provando ad occuparsene ma per ora l’impressione più diffusa che si raccoglie è che nessuno ne stia cavando un ragno dal buco.

Sotto alcuni titoli sui media e nella foto sopra un fatto accaduto alcuni giorni orsono nel sud Italia: potrebbe accadere anche da noi!IMG_20200405_195733

Se a livello Provinciale la scorsa settimana un tavolo agricolo con le parti sociali, dopo due giorni di seduta, pare non abbia prodotto nessuna soluzione forte, non sembra aver fatto di meglio un lavoro parallelo della commissione nazionale politiche agricole.

La profonda contrarietà della Ministra Bellanova al ritorno del sistema di reclutamento della manodopera agricola attraverso i voucher è solo uno dei tanti ostacoli che si frappongono tra la produzione e la tavola dei consumatori.

A livello nazionale però ciò che appare scandaloso è l’apprendere numerosi “rumors” di corridoio che allo sviluppo di proposte di soluzione oppongono questioni di natura partitica. I rappresentanti regionali leghisti che gestiscono il tavolo della CPA pare abbiano agito con logiche di opposizione anziché nell’interesse nazionale dei contadini nel tentativo di screditare il governo centrale rispetto al quale sono forza di opposizione.

La preoccupazione che lo stallo totale non sia gestito bene nemmeno dal livello locale è in qualche maniera mitigata dalla notizia di questi giorni il governo leghista locale stia cercando di immaginare delle soluzioni possibili attraverso l’aiuto di esperti, chiamando in causa anche un futurologo. Ben venga una professione di tal valore ad aiutarci ma sembra facile capire che per le produzioni lasciate nel campo di futuro ce n’è uno solo cioè il macero.

Sono arrivate molte proposte di diverso tenore, alcune anche da parte nostra, tra le quali l’utilizzo del Progettone, dell’Intervento 19, da affiancare al reperimento di disoccupati o di chi stia percependo il reddito di cittadinanza. Senza dubbio sono tutte proposte praticabili ma dentro ad ogni singola fattispecie gravate da limiti oggettivi e che in nessun modo fanno di questi escamotage soluzioni risolutive.

Quale può essere dunque una soluzione, se soluzione ci può essere?

Il suggerimento è di estrema attualità e va indirizzato proprio a quella stessa persona che i giorni scorsi si compiaceva di un deplorevole gesto: quello del vedere ammainata la bandiera europea. La Nobile Abiura di galileiana memoria dell’”eppur si muove” ci ha, in direzione uguale e contraria, ricordato Fugatti quando il giorno successivo al processo mediatico giustamente ricevuto si è scusato per il post in forma pubblica ma ha voluto comunque ribadire la propria convinzione sulla validità del gesto. Se come pare l’autore del gesto è un viticoltore, sarebbe interessante sapere da dove pensa siano arrivati i contributi pubblici che meritatamente la sua meravigliosa professione valorizza.

Invece: l’adeguamento a logiche di profilo europeo appare oltremodo necessario ed urgente perché tutta l’Europa agricola e non solo l’Italia o il Trentino avranno la possibilità di salvarsi solo se verranno aperti dei corridoi che, pur particolarmente controllati dal punto di vista sanitario, permetteranno l’afflusso di manodopera dall’estero. E’ la dimensione del problema a necessitare di intermediazione di livello nazionale: Inghilterra, Germania, Francia, Spagna, Paesi Bassi solo per citare i più importanti possono sopravvivere solo grazie al contributo operativo di personale intra ed extra UE ed un nuovo piano di controllo dei flussi migratori e dei relativi decreti attuativi statali pur nelle more della gestione sanitaria, nonostante questa grave crisi rimane la chiave di volta del sistema agricolo europeo-statale-regionale.

Nella cd. fase 2 dell’emergenza sanitaria andrà gestito anche questo aspetto, uno dei tanti motivi per collaborare tutti per Un’Europa più unita.

5 Aprile 2020 0 Commenti
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TURISMO ED ECONOMIA NEL SUO INSIEME: A QUANDO, DALLA GIUNTA, IL QUADRO GENERALE DELLE RISORSE E LA DISPONIBILITÀ AD ELABORARE INSIEME PROPOSTE SOSTENIBILI?

Da Michele Dallapiccola 4 Aprile 2020

I numerosi richiami alla collaborazione dei leghisti al governo, finora sordi a qualsiasi stimolo tecnico da noi proposto ma estremamente suscettibili ed sguaiatamente reattivi a qualsiasi richiesta di generica assunzione di responsabilità, non ci hanno tuttavia indotto a demordere o ad abbandonare la disponibilità a collaborare.

Partiamo dal protocollo RIPRESA TRENTINO rispetto al quale proponiamo alcuni correttivi. Di cosa di tratta? Varato nei giorni scorsi da un’intensa campagna di marketing della Giunta provinciale, il primo pacchetto di misure urgenti a sostegno degli operatori economici sintetizzate in un Protocollo d’Intesa tra PAT, e soggetti terzi – Cassa del Trentino, Banche, Intermediari finanziari e Confidi aderenti -, va reso compatibile con i problemi di tutti gli operatori economici. Perchè?

In grande sintesi, i pochi strumenti messi a disposizione dalla Giunta Provinciale si basano essenzialmente sull’operatività proprio dei soggetti terzi sopra nominati e riguardano :

  • sospensione delle rate con allungamento del piano di ammortamento ( già per altro ricompreso dal decreto cura Italia e dall’accordo ABI) ;
  • attivazione di linee di finanziamenti a favore degli operatori economici con un contributo della PAT che ammonta a solo 1 milione di euro a carico del bilancio 2020 e 1 milione di euro a carico del bilancio 2021( erogazione di nuova finanza e quindi nuovo debito per gli operatori economici da parte degli istituti di credito con garanzia nella misura dell’80% da parte di Confidi o Cooperfidi).

Da un primissimo periodo di osservazione basato sulla testimonianza pratica di alcuni teorici beneficiari ravvisiamo la necessità di proporre alcuni correttivi:

PRIMO CORRETTIVO

La casistica ammessa a beneficio risulta troppo dettagliata e potenzialmente svantaggiosa per taluni operatori. Al momento rientra nei beneficiari chi può certificare un impatto negativo per COVID19 con riduzione di almeno il 10% del fatturato/compensi , delle prenotazioni/ordinativi, degli incassi da vendite nel FANTOMATICO PERIODO DI OSSERVAZIONE! Il periodo di osservazione va dal 01.03.2020 all’ultimo giorno del mese precedente alla data di presentazione della domanda e viene confrontato con lo stesso periodo del 2019.

Le aziende turistiche con apertura stagionale estiva (tipicamente da giugno a settembre) e quindi chiuse da gennaio a giugno sia nel 2019 che nel 2020 con prenotazioni che verosimilmente vengono effettuate da maggio in poi, sicuramente non potranno certificare un calo di fatturato. Dovranno allora aspettare fino a giugno per poter certificare il calo di prenotazioni e quindi poter accedere alla misura di sostegno? Non era forse più semplice prevedere un danno generico subito a causa del Covid19 anche in prospettiva di quella che sarà una stagione estiva sicuramente sottotono quando riuscirà a partire?

SECONDO CORRETTIVO 

La domanda di nuova finanza sul portale dell’APIAE può essere appoggiata su UN UNICO ISTITUTO DI CREDITO. In questa fase di particolare di difficoltà l’aver limitato la possibilità di presentare la richiesta di nuova finanza su un unico istituto riduce la possibilità per le aziende di accesso al credito in un’ottica di frazionamento del rischio da parte degli istituti di credito.

Ricordiamo infatti che le misure proposte dalla giunta  rappresentano, seppur garantito dai Confidi nella misura dell’80%, nuovo debito per le aziende e quindi nella valutazione verrà tenuto conto della capacità di rimborso del debito da parte delle stesse, pur con le già previste ipotesi di rateizzazione dopo 24 mesi.

TERZO CORRETTIVO: CONTRIBUTO IN CONTO INTERESSI DI IMPORTO LIMITATO

Stimando una richiesta media di 150.000 euro, con una copertura interessi come ipotizzato con soddisfazione dalla Giunta su  circa 250 milioni di nuovo debito a carico delle aziende , quante sono le richieste che potranno essere soddisfatte, con l’intervento nota bene degli istituti di credito e dei Confidi? 1.600? 2.000? Saranno sufficienti su tutto il panorama imprenditoriale trentino?

QUARTO CORRETTIVO: PER LE AZIENDE PIÙ’ STRUTTURATE IMPORTI RICHIESTI MAGGIORI DI 300.000 EURO 

Per questa casistica non ben precisata se non in termini di importo di finanziamento richiesto (aziende corporate con fatturato superiore ai 3 o 5 milioni di euro?) l’unica possibilità prevista dal  RIPRESA TRENTINO, è il ricorso ad un finanziamento diretto sul Fondo Strategico Regionale TAA con una dotazione di appena 20 Milioni di euro  (nuova dotazione o residuo della dotazione costituita  nella precedente legislatura?) 

Quante domande potranno essere soddisfatte se il taglio di intervento previsto per un’azienda cosiddetta strutturata va dai 300.000 al 1.500.000 euro. 10 o forse 20? Quante sono le aziende trentine cosiddette strutturate?

QUINTO CORRETTIVO: AZIENDE CHE NON RIENTRANO NEL PARAMETRO DIMENSIONALE DELLE PMI (Piccole medie imprese) 

Nessun intervento sembra essere riservato dal decantato RIPRESA TRENTINO a questo tipo di aziende che, anche se più organizzate e strutturate dal punto di vista economico finanziario ed organizzativo, sicuramente si trovano a far fronte a costi fissi/scadenze verso fornitori proporzionali al volume di fatturato/valore di produzione. Il Confidi potrà intervenire a garantire anche queste aziende oppure non ci sarà nessun tipo di intervento agevolato con la sua garanzia?

Nell’ultima teleconferenza a tema sanitario, Fugatti si è riproposto di voler ascoltare anche le proposte economiche suggerite dalla minoranza. Abbiamo altresì molto chiaro il quadro di estremo allarme lanciato dai comparti economici e la loro costante richiesta di aiuti a fondo perduto. Fino a quando il governo provinciale non vorrà dare contezza delle disponibilità finanziarie della PAT, sviluppate anche attraverso l’assunzione di debito, ogni proposta che potremmo elaborare potrebbe risultare poco strutturata e dunque credibile. E’ dall’inizio di questa legislatura che chiediamo al governo di avere coraggio ed assumere più debito e dall’inizio di questa crisi che attendiamo i dati finanziari.

 

4 Aprile 2020 0 Commenti
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IL BENESSERE DEI NOSTRI ANIMALI E’ BENE (ANCHE) PER LA NOSTRA SALUTE.

Da Michele Dallapiccola 3 Aprile 2020

Se il Trentino ha perso l’abitudine al consumo di questo tipo di prodotto, la fotografia di ciò che accade fuori da qui, ci rappresenta che nemmeno a livello nazionale questa carne gode di buona fortuna

LA CARNE OVINA SULLA NOSTRA TAVOLA.

Nel carrello della spesa degli italiani la troviamo con aspetti di contrazione meno gravi che a livello locale ma a ben vedere la disaffezione verso questo prodotto è guidata da luoghi comuni che affliggono la simpatia verso la carne in senso lato, condizione che rende ancor più difficilmente contrastabile l’abbandono del consumo osteggiato da falsi miti e luoghi comuni. Va meno peggio nel settore dell’HORECA ma vedremo tra poco perchè questo sia praticamente ininfluente

Tutti i grafici da AGI.itCattura

Apro una parentesi per parlarne dei principali:

  • mangiamo troppa carne? Con l’OMS che considera i 100 g di carne rossa al giorno come consumo raccomandato noi siamo il terzultimo paese d’EuropaCattura3
  •  la carne fa venire il cancro? Secondo lo IARC  sono consumi fino a 500 grammi di ad esser pericolosi e con loro i derivati di conservazione e cottura. A contatto con la combustione diretta e l’affumicatura assorbe idrocarburi policiclici aromatici e nitrosamine. Sono questi i veri componenti della cancerogenicità.
  •  la carne non è sostenibile, consuma 15000 litri d’acqua su kg per essere prodotta!  Nel conto si comprende l’acqua piovana sugli ettari pascolati a livello mondiale. In Italia grazie all’uso efficiente e regimato dell’acqua siamo a meno di un decimo 
  • Gli allevamenti inquinano più delle automobili? La FAO stima che l’allevamento produca solo tra il 10 e il 15 percento dei gas serra complessivi
  • La carne contiene ormoni e antibiotici e mangiarla è pericoloso! L’utilizzo degli ormoni è vietato in Europa ormai da 40 anni mentre sugli antibiotici esiste una feroce stretta del sistema sanitario nazionale ed europeo
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3 Aprile 2020 0 Commenti
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A PASQUA SALVA UN PASTORE: COMPRA UN AGNELLO!

Da Michele Dallapiccola 1 Aprile 2020

Capita spesso di imbattersi sui social, specie nel periodo natalizio o pasquale, nel simpatico MEME riportato nel titolo sopra che ci invita a mangiare un agnello per salvare un pastore. Che il consumo di carne ovina non sia mai stato al centro della dieta trentina è un dato assodato. Le recenti mode alimentari, la pietà verso gli animali e le potenti campagne dei media anche di qualche leader politico contro il consumo di carne, non hanno certo giovato al caso.

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Ma facciamo un passo indietro con un po di storia. La terra trentina, oggi tanto favorevole alle sue genti come impareggiabile richiamo turistico, non lo è stata altrettanto in passato. I campi ripidi, la buona stagione breve e gli esigui spazi concessi dai boschi osteggiarono in maniera decisiva lo sviluppo agricolo decollato solo qualche decennio fa grazie ad una imponente e specifica meccanizzazione e fondamentali aiuti pubblici. 

È ormai perduto il ricordo un passato nel quale  l’allevamento di sostentamento era l’unica opzione di sopravvivenza, condotto in maniera capillarizzata tanto che quasi ogni famiglia nei paesi fino al dintorni della città possedeva capi di bestiame. Nella stagione estiva, ovvero nel momento in cui il contadino si trovava maggiormente impegnato dovendo approfittare della buona stagione per approntare le derrate con le quali avrebbe superato l’inverno, le vacche venivano mandate in malga sui pascoli non sfalciabili. 

Lo sfruttamento dei pendii ancor più ripidi, inagibili ai bovini, trovava invece naturale l’utilizzo da parte di greggi di capre e pecore gestite da forme di conduzione cooperativa o societaria. I proprietari mandavano al pascolo le bestie pagando la loro quota attraverso “la part”, metà della figliolanza del gregge per intenderci. I vari padroni, per riconoscere i propri animali erano e sono tuttora soliti contraddistinguere le pecore di loro proprietà tramite la “nova”, un pezzetto di orecchio asportato in forma diversa a seconda del proprietario, chi una tacca rotonda a destra, chi una quadrata a sinistra, chi due, chi una per parte.

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Fu così che nacque la figura del “pastore delle pecore” che durante l’inverno non smetteva di lavorare rispetto al suo collega “malgaro”, poiché, mentre le vacche ritornavano nella stalla dei rispettivi proprietari, le pecore rimanevano a lui in custodia. Egli allora prendeva alle sue dipendenze uno o due “servi”, ragazzi malpagati alla fine della stagione invernale e si spostava in Veneto dove le precipitazioni nevose sono solitamente scarse, a “far l’inverno giù per l’Italia”. In primavera gli agnelli maschi non destinati alla riproduzione e nati durante l’inverno, venivano castrati e dopo aver trascorso l’estate ad ingrassare in montagna venivano restituiti nell’autunno successivo, ai loro rispettivi proprietari che, finalmente, potevano preparare quella specialità’ trentina conosciuta come “castra’ coi capussi”, castrato arrostito a fuoco lento con il cavolo. In quegli anni la conservazione era affidata al clima, alla stagione, al periodo che con i primi freddi dell’autunno e la collaborazione di una buona salatura ne avrebbe consentito una più prolungata durata. La tipologia del prodotto era unica, il castrato per l’appunto. Nella sua fase da latte avrebbe reso troppo poca carne e le femmine andavano preservate quali preziose potenziali fattrici.

E oggi? Di fatto l’allevamento ovino è sopravvissuto grazie alla grande attitudine di questi animali a preservazione i pascoli specie di altitudine assolvendo in questo allo scopo richiesto dall’assegnazione dei premi PAC.

Il secondo grande fattore che ha salvato questo settore produttivo è stata la presenza dei mussulmani. Macellare un agnello per questa popolazione oltre  unad essere un’abitudine sociale ancora piuttosto diffusa assolve anche ad una valenza religiosa. Cosi, quelle persone tanto affezionate alle tradizioni nelle loro terre di origine, hanno trovato facile punto di collegamento in una analoga tradizione millenaria locale: la pastorizia. E poichè qui è praticamente scomparsa la tradizione di castrare in primavera i nati nell’inverno di consumarli soprattutto in autunno da parte dei locali, il pastore si rivolge direttamente ai pochi commercianti sul mercato italiano. Credo stiano sulle dita di una mano – mio padre era uno di questi – e tutti aspettano con grande apprensione e soddisfazione la festa islamica del EID KABIR, detta del sacrificio, una tra le più importanti ricorrenze religiose del mondo islamico.

Il resto di quanto sopra descritto non ha subito significativi mutamenti provocati dal trascorrere del tempo e nonostante i “pastori delle pecore” siano poco più di una ventina, calpestano ancor’oggi con le loro greggi i greti dei nostri torrenti e risalgono ancora, durante la stagione estiva, le nostre cime alla ricerca dell’erba più verde. Il reperimento del pascolo è parzialmente facilitato dal fenomeno di abbandono delle malghe che ha lasciato spazio agli ovini in quelle malghe per bovini caratterizzate da accessi particolarmente difficoltosi che ne determinarono precoce dismissione. Diviso in due grandi raggruppamenti l’allevamento delle pecore si compone di una parte stanziale ed una transumante. Nel complesso le due componenti danno una numerosità di circa 30000 capi: circa 5000 stanziali, il resto in transito sfruttando pascoli marginali dei quali abbiamo parlato poco sopra, avvalendosi nei loro fini produttivi più’ della tradizione che della scienza.

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Oggi il pastore è solitamente proprietario del gregge e se conduce qualche capo per conto terzi, e solamente arrotondare, fare un favore ad un amico od avvantaggiarsi della collaborazione degli altri proprietari nei momenti di maggior lavoro quali controlli sanitari o tosatura che pure è ormai un’operazione di valenza sanitaria. 

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La lana infatti non ha più praticamente nessun valore commerciale dunque la tosatura serve a prevenire patologie dermatologiche ectoparassitarie (rogna e zecche) praticamente endemiche su questo tipo di bestiame. Ciò è accaduto perchè fibra della lana delle nostre pecore, che hanno attitudine esclusiva alla produzione della carne, è corta e grossa e non può competere nella qualità per la filatura con quella lunga e fina delle razze australi da lana. E’ anche opportuno ribadire che le pecore trentine non producono che il latte per il proprio agnello. 

È un fatto evidentemente non notorio al punto che il Presidente del consiglio Regionale, qualche tempo fa , mi invitava riflettere sull’opportunità di reddito che dà il latte di pecora (sigh!). In merito alla produzione di latte invece va precisato che questo compito è egregiamente assolto dal settore caprino. 

Per il Trentino si tratta però di qualcosa di non tradizionale ma importato probabilmente dall’Oltralpe francese. Parliamo di un allevamento tecnologico, con animali che passano il loro tempo prevalentemente dentro a strutture dedicate e che vengono gestite secondo i più moderni dettami della zootecnia. 

La carne in questo caso è un sottoprodotto d’allevamento. Per produrre latte si deve avere un parto che darà la luce a femmine destinate alla rimonta e maschi che nel periodo primaverile sono consumati come capretti. A scopo riproduttivo come becchi, di questi ne basta l’1 % circa e dunque in questa stagione l’offerta abbondante legata ai parti ne determina l’abitudine al loro consumo durante il pranzo pasquale.

Ma questa è un’altra storia.1585763388216-0bdec22f-3c5f-48ec-a075-252b2b87807b_-01Antonio, Civezzano 1989

1 Aprile 2020 0 Commenti
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A COSA SERVE (ORA) LA POLITICA?

Da Michele Dallapiccola 31 Marzo 2020

Keynes è morto, lunga vita a Keynes! Certo, l’economista britannico profeta del sostegno pubblico all’economia troverebbe pane per i suoi denti nel prendersi a cuore il caso della condizione mondiale dei mercati e della società in uscita da questa crisi.

Ad onor del vero, attingendo alle esperienze del passato, il modello economico occidentale ha già vissuto un’esperienza analoga: la grande crisi globale del 2008, rispetto alla quale la risposta, soprattutto provinciale, aveva assunto proporzioni incommensurabili specie se  paragonate alla situazione attuale; qui il link completo: https://is.gd/fLYo6w

Era il tempo della mia prima consiliatura, il 2009 e me lo ricordo come fosse ieri. Rispetto all’anno precedente, la crisi in Italia aveva abbassato il PIL di oltre 5 punti percentuali e per quanto grave fosse sembrato allora, è ancor più spaventoso apprendere oggi che in in questa crisi il rank raddoppierà in negativo o forse più. Allora, rispondemmo con una disponibilità finanziaria che guardata con gli occhi di oggi sembra quasi inverosimile. Il confronto degli 800 milioni€ di allora è impietoso perfino rispetto ai 400 milioni€ messi a disposizione dallo stato ieri per le misure anti povertà di attivazione del buono pasto. Gli effetti della crisi, gli strumenti e le misure per contrastarla oggi non sono paragonabili ma il grafico dell’immagine sotto ci permette di ricordare come sono andate allora le cose:

Screenshot_20200331-113634_Docs-01Come si può vedere, la lettura dei dati economici riferiti agli anni successivi ha certificato che la curva del PIL non ha mostrato grossi scostamenti soprattutto in confronto all’Europa e all’Italia. Lascio a ciascuno le conclusioni che più sente proprie, certo verrebbe da dire che distribuire una cosi grande quantità di fondi non ha poi fatto andar diversamente le cose rispetto a realtà dove non è certo stato cosi!

Ma e allora, a cosa serve la politica? Titolo di un saggio divulgativo di Piero Angela di qualche anno fa, citava il “serve a ridistribuire la ricchezza” di Socrate; ebbene oggi è giunto il momento di ripensare anche a nuovi modelli per farlo. Che gli investimenti pubblici siano considerati il più importante motore dell’economia anche per il Trentino è da sempre un punto fermo, anche di fiducia verso il governo provinciale. Le condizioni finanziarie generali sono però completamente cambiate  in contrazione e questi nuovi equilibri ci imporranno di concentrarci su altre priorità.

In un suo recente incontro a Trento Massimiliano Valerii, direttore del Censis ci raccontava – a ragione – di un ascensore sociale italiano bloccato che per ripartire non potrà contare solo sulla spinta di stato e provincia.

Un primo filone di intervento sullo sviluppo potrebbe vedere negli enti pubblici una sorta di starter dell’economia. Potendo far leva solo su ciò che è loro competenza senza la capacità di movimentazione in via diretta grandi masse finanziarie, dovranno intervenire prevalentemente a livello amministrativo ad esempio con la digitalizzazione e la semplificazione burocratica. Insomma, sono le condizioni di contesto a governare efficacia e portata delle scelte pubbliche. Basti pensare che per la nostra evoluzione digitale ha fatto più il coronavirus in questi 20 giorni che la politica negli ultimi 20 anni; si lasci sviluppare questa deregulation – al netto e al riparo dai disonesti – e l’economia saprà riprendersi i suoi spazi. 

Secondo filone di intervento della politica: per provare a dare solidità a questo necessario scudo sociale, non si potrà contare solo sulla  fiscalità perchè in un periodo post crisi questa non potrà essere che a dir poco prudente. Il programma di reinvestimento pubblico dovrà necessariamente coinvolgere anche il sistema finanziario privato.

Temo che quest’ingiusta fase di riassetto, della cui durata è difficile fare previsioni, avverrà in maniera disordinata, i forti si rinforzeranno e la politica si dovrà preparare a contrastare e prevenire un divario sociale in aumento venendo in soccorso ad un sempre maggior numero di fragilità esposte. Oppure avrà perso scopo e ruolo. 

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31 Marzo 2020 0 Commenti
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LA GIUNTA IMPARI DAGLI ERRORI COMMESSI ED ORA COLLABORI PER UN FUTURO MIGLIORE

Da Michele Dallapiccola 30 Marzo 2020

Della responsabilità e delle colpe, se necessario, ne parleremo a tempo debito perché questo non è il tempo delle polemiche. La Giunta intanto impari in fretta dagli errori commessi e si concentri anche con noi consiglieri di minoranza per pensare ad un miglior futuro prossimo e anteriore: dopo la crisi sanitaria infatti arriverà quella economica.

E’ dato ormai consolidato che il COVID-19 abbia afflitto anche la nostra Provincia in maniera particolarmente pesante. Per voce dello stesso Presidente siamo stati pesantemente colpiti proprio come province a noi contigue ma con altissima densità abitativa.

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La sintesi delle motivazioni l’ha riassunta benissimo Alberto Pattini in un suo social-post definendo in 6 macro aree le motivazioni salienti. Ne riporto sotto un estratto precisando che a mio avviso, in tutto questo la Trentino Marketing ha poca responsabilità. Quale società di sistema esegue anche le indicazioni della giunta che in quel periodo, c’è motivo di pensare, fossero piuttosto insistenti. Testimonianza ne sono i vari post di invito a venire in Trentino da parte dei salviniani locali, a partire dallo stesso presidente, fino all’assessore di merito accompagnato proprio dal capitano in persona, tutti armati di social, tagliere e spumante! Ecco le considerazioni che in gran parte condivido:

“1. alla fine di febbraio Trentino Marketing invitava i turisti a venire in Trentino evidenziando che qui non c’erano  contagiati e questo ha favorito l’importazione del contagio.

 

2. si è aspettato troppo a chiudere gli impianti sciistici. La prova deriva dai contagi nelle zone turistiche tipo Val di Sole, Val di Fiemme e Fassa e Val Rendena;

3. si è permesso per troppo tempo la visita dei familiari agli ospiti delle RSA;


4. i sanitari non sono stati dotati immediatamente dei dispositivi di protezione individuale e non si è provveduto in tempi brevi ad eseguire loro i tamponi;


5. non é stata perseguita la ricerca dei contagiati asintomatici e loro isolamento. In italia gli asintomatici saranno 100.000 come sostiene il virologo dell’università di Padova prof Andrea Crisanti. 12 giorni fa l’ordine dei medici del Trentino ha sollecitato la ricerca degli asintomatici ma finora non si è provveduto.


6. non è stato valutato, come su tutto il territorio nazionale, attentamente il decreto del 31 gennaio del consiglio dei Ministri in cui si decretava per sei mesi lo stato di emergenza sanitaria.”

 

Fin qui nulla di nuovo e nemmeno sarebbe giusto infierire non fosse così importante, anche per noi consiglieri di opposizione, tenere alta l’attenzione affinché gli errori di queste prime settimane non proseguano anche nelle prossime fasi che si preannunciano molto lunghe. Siamo prossimi all’arresto del numero dei contagi ma non per questo alla fine dell’epidemia.

Nella foto, il grafico rappresenta l’arresto dei contagi atteso per la fine della prossima settimana e nelle curve colorate le ipotesi di recrudescenza

 

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Per il futuro, e come per ogni crisi già vissuta, assisteremo a strascichi di polemiche, discussioni e ricerche di responsabilità. E benché l’italia sia la terra delle indagini, dei risvolti giudiziari anche incompiuti o dei talk show dal titolo “si poteva fare diverso”, non va meglio nemmeno agli amministratori a nord del nostro confine con le prime avvisaglie di insofferenza sociale che cito qui sotto in particolare attraverso una notizia che mi ha molto colpito.

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Che questi giorni di bilanci acerbi, imprecisi, provvisori diano comunque l’occasione di una grande assunzione di responsabilità per ciascuno: chi di governo, chi di controllo e per chiunque di collaborazione sociale ancora una volta e con rinnovata convinzione rimanendo a casa. 

30 Marzo 2020 0 Commenti
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Michele dallapiccola

Dopo un po' nella vita, ti accorgi che intorno
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