Michele Dallapiccola
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Michele Dallapiccola

Michele Dallapiccola

La carne, quella buona.

Da Michele Dallapiccola 27 Novembre 2021

E’ forse l’alimento più discusso tra quelli che mettiamo nel carrello della spesa. Parliamo della carne. 

Dal dopoguerra ad oggi, le generazioni che si sono susseguite, ne hanno interpretato il parabolico sviluppo. Il diagramma di consumi parte scarsissimo dopo la guerra e raggiunge picco determinato dal l’abbuffata dei boomers quelli nati nella prima metà degli anni 60. Dopo il nuovo millennio, il consumo ha cominciato a calare drasticamente.

Secondo un report della Coldiretti di un paio d’anni fa, il consumo medio annuo di carne in Italia era tra i più bassi in Europa, 79 kg a persona all’anno. Oggi, secondo i dati di Carni Sostenibili, siano a circa 77 kg capite/anno, circa la metà del maggior consumatore mondiale, gli Stati Uniti. 

Sempre Coldiretti, durante la presentazione dell’indagine la spesa degli italiani ai tempi del coronavirus, riporta dati interessanti che relegano sempre più la carne a cenerentola del carrello della spesa. C’è anche un dato curioso in controtendenza: sul podio dei prodotti alimentari più richiesti in questo periodo risalgono anche la carne in scatola, con un incremento del 60%.

Sul carrello della spesa la carne pesa il 10% di quanto investiamo per nutrirci. A QUESTO LINK UN’INTERSANTE ANALISI DI REPUBBLICA

Le abitudini di consumo cambiano non soltanto a causa delle mode ma anche per mutare della società. Chi avrebbe mai pensato ad esempio, che anche il mercato Halal potesse diventare così interessante? Notevole il caso della macelleria Largher, da sempre molto attiva nel settore innovazione, che ha attivato una linea di lavorazione apposita.

A QUESTO LINK IL SERVIZIO VIDEO DEL Tg RAI

Benvenuti mussulmani dunque? Di certo i pastori lo dicono. Come abbiamo avuto modo di scrivere in più occasioni, senza il mercato islamico questi produttori non saprebbero davvero come sopravvivere. A quanto pare dai numeri del settore sono circa 20.000 gli agnelli che vengono allevati e pressoché  totalmente consumati dal mondo arabo.

L’altro giorno mi sono preso la briga di fare un giro in un grosso centro della grande distribuzione organizzata. Ci ho trovato la carne bovina con il marchio Qualità Trentino.

L’ovino veniva da lontano e gli unici due tagli presenti erano quelli che oggi consigliano le ricette della cucina internazionale della TV e dei social.

Per fortuna ci sono anche le macellerie artigiane di fiducia. E alcuni esempi di vendita diretta e filiera corta.

Fortunatamente da loro, a richiesta, si può ancora ottenere di tutto al giusto prezzo. Lo consiglio.

Cambia il tempo e la carne sana buona e genuina dei nostri pascoli la lasciamo mangiare a chi evidentemente è molto più rispettoso delle sue tradizioni rispetto a noi.

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La politica delle mance.

Da Michele Dallapiccola 27 Novembre 2021

Ma è davvero, questa, la giunta del “cambiamento”?

Uno degli tradizionali cavalli di battaglia elettorale della lega, tenuti a suon di slogan e gazebo, è da sempre stato quello di voler combattere la politica dei “piazerotti”. Intesa come attività amministrativa volta ad accontentare sacche di consenso, attraverso piccole elargizioni di potere o di denaro. Pur nel lecito, ma dentro ad un quadro di scarsa equità sociale ed equilibrata scelta politica.

Eppure, una volta al potere, anche la comunità dei salviniani in Trentino, è finita per inciampare in questo “vizietto” in più di un’occasione.

Alcuni, gli esempi.

Pare che ad un incontro coi sindaci della comunità della Val di Sole, un paio di assessori avessero proposto l’abominevole scambio. 

La valle sarebbe stata devastata dal passaggio di 30 km di un tubo che avrebbe in seguito proseguito il suo scempio col prelievo di acqua dal Noce. Ovviamente, come noto ed evidente, la risposta dei primi cittadini è stata secca ed irremovibile. No ad opere pubbliche come merce di scambio. Depuratori e strade sono un diritto, non un contentino!

Ma ecco la giunta delle mance che fa capolino in un altra vicenda. Quella della riapertura delle discariche. 

Il disagio grave non sta nell’epilogo, del quale pure parleremo tra poco. A mio avviso lo scandalo sta nel fatto che siano trascorsi 3 anni prima che questi amministratori provinciali abbiano deciso di reagire di fronte al più che previsto collasso della discarica di Ischia Podetti. Fatto, noto fin dal loro insediamento nel 2018 e dunque più che prevedibile.

E non si venga a portare la pandemia come scusa perché allora andrebbe chiarito anche cosa ha fatto il dicastero all’ambiente durante il letargo durato più di un anno ed imposto dal lockdown. 

Oggi la stampa dà notizia di un fatto triste. Le dimissioni di un comandante dei Vigili del Fuoco sono un fatto che rammarica sempre. Non vorrei nemmeno entrare nelle dinamiche politiche locali.

Ad Imer, un buon lavoro.

Nel riferirmi ad Imer, considero e preciso che l’amministrazione comunale si è mossa bene. Nel migliore dei modi tra i quali poteva agire. Ed il Comitato Antidiscarica – dal canto suo – un piccolo successo, consistente nella diminuzione di quantità conferita, lo ha ottenuto. 

Ma a far impressione – un gesto di sciatteria istituzionale come pochi – lo ha fatto la giunta. Ed è tanta la sua miopia da averlo voluto pure comunicare. Come fosse una cosa della quale andare orgogliosi.

La domanda da porsi.

Ma ad Imer, si finanziano le opere per compensare altre? Avere infrastrutture pubbliche comunali in ordine, qui come in val di Sole o altrove, è un diritto o merce di scambio? Mettere le comunità locali contro, è un modo di operare inammissibile. La politica delle mance, riesce forse a far peggio di quella che la lega criticava nel passato. Quella dei “piazerotti”.

Allora infatti un disegno generale almeno c’era.

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ASAT: finalmente una nuova assemblea in presenza. Col fiato sospeso.

Da Michele Dallapiccola 25 Novembre 2021

Come quello che respira ogni singolo operatore del settore turismo in questo periodo.

L’estate e i  vaccini ci avevano fatto ben sperare. Pensavamo che il virus e i no vax non sarebbero stati un problema.

Invece eccola qui, la quarta ondata. Incombe da nord e uccide fiducia e prenotazioni

La speranza è seconda solo all’impegno di rispetto dei protocolli di sicurezza sanitaria. Nel frattempo, le nuove restrizioni e le ulteriori somministrazione di vaccino a minori e in terze dosi saranno dirimenti. 

Ma i grattacapi per il settore turismo non si esauriscono qui. A spaventare contribuisce anche la grave difficoltà nel reperire personale. 

Alla partecipata serata tenutasi ieri al PALALEVICO, due interventi tecnici hanno offerto qualche interessante spunto. 

Il professor Salomone esperto di politiche del lavoro. 

Nelle sue considerazioni insiste affinché la politica costruisca un sistema scolastico capace di orientare in maniera ancora più incisiva. Le persone vanno indotte a fare scelta giusta sulla base delle opportunità. Non solo quindi come dipendenti ma anche come persone di impresa. Fatto assai carente in Trentino dove manifestiamo record negativo, ad esempio, nei numeri dell’imprenditoria femminile. Sarà uno sforzo enorme fatto di tanti ingredienti quello che dovremo fare. Tutti insieme.

E non sarà nemmeno l’abolizione del reddito di cittadinanza a risolvere il problema. Perché, sostiene – a mio avviso giustamente – il professore, il settore ha bisogno di persone professionalizzate. Assai difficilmente reperibili tra quelle aiutate da questa controversa misura statale che anche il Trentino leghista ha voluto adottare.

Il professor Caliccia è un esperto di “Employer branding”.

È la disciplina che studia la capacità di gestire la propria immagine come luogo di lavoro.

E “Trentino” è un brand che attrae. Perché non usare la nostra immagine per richiamare l’interesse delle persone a venire a lavorare nella nostra provincia? Tutti d’accordo insomma sul rilanciare il Trentino come luogo attrattivo. Vacanza, ma anche luogo di lavoro e dunque di vita. Le carte in regola ci sono tutte.

Dalla politica, nel complesso, sono arrivate poche novità. Anzi nessuna. A parte i saluti, la Giunta che ha recitato delle misure del PNRR che lo Stato ha messo campo per sostenere il settore. L’impressione è quella che ad alloggiare meglio nei luoghi di questi ristori, saranno i primi ad arrivare.

Gli effetti invece, li valuteranno le imprese e i cittadini soltanto alla fine di questa crisi.

Intanto, la preoccupazione che qualcuno in fondo potrebbe non arrivarci, nel buffet di saluto finale, era davvero palpabile.

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PIU’ PECORE CHE VACCHE

Da Michele Dallapiccola 25 Novembre 2021

Da qualche anno, dal 2018 per la precisione, la Statistica Provinciale rivela un dato curioso. In Trentino, il numero di pecore ha superato quello delle vacche. 

E’ di 45 a 47 mila, la cifra di una partita che si può permettersi il lusso di non contemplare le 15 mila capre che pure sono presenti.

Anch’esse raddoppiate nell’ultimo ventennio. 

Stamattina do’ i numeri, lo so! 

Eh, che è uscita la nuova edizione 2020 “Conoscere il Trenino” di ISPAT e da curioso di numeri quale sono non potevo non aggredire. Ne parliamo tra persone che come me provano amore per il territorio e gli animali. Ecco perché è naturale soffermarsi sugli aspetti relativi al mondo dei nostri allevatori. Tra tutti quelli che li riguardano va segnalato un dato curioso: quello relativo al mondo ovinicolo. Tra tutti uno dei più legati agli effetti della politica in particolare su due aspetti 

Stano ma vero. Il legame con l’islam

Sembrerà singolare ma il legame più forte del mondo dei pastori è quello con le politiche di immigrazione. Si si avete capito bene. Senza i mussulmani i pastori non saprebbero dove sbattere la testa visto che non saprebbero dove vedere i propri agnelli. E vista la consistenza segnalata parliamo di una produzione di circa 30 mila pezzi all’anno! Messi in fila uno dietro l’altro questi agnelli, coprirebbero la distanza tra Trento e Cles, tanto x dire.

Beh, vanno tutti nelle mani del mercato islamico locale, nazionale e pure in export. 

Ecco perchè vedere un leghista ad una riunione di pastori fa davvero ridere! 

Gli allevatori, europeisti!

Il secondo legame a doppia mandata è con l’Europa. Non c’è miglior europeista di chi alleva animali oggi. Anche in Trentino. E senza distinzione tra pecore e vacche. Questo perché la politica si occupa della redistribuzione del reddito della società attraverso l’erogazione degli invidiatissimi premi. Ma il dato, è di fatto: l’agricoltura di montagna è sostenuta. Ed è giusto che sia così

Perché i contributi alla zootecnia non devono provocare invidia sociale?

Vogliate gradire questo sillogismo che in poche parole a mio modesto avviso spiega molto: 

– Produrre in agricoltura in montagna costa.

– La montagna coltivata piace a locali e turisti

– I turisti portano guadagno alle varie attività di montagna

– Il guadagno delle varie attività economiche va distribuito dalla politica a chi lavora per sé e per la montagna ma ne ricava meno.

In questo caso, a far da equilibrio ci pensa l’Europa secondo un concetto che mi sembra piuttosto chiaro. 

E le pecore, da qualche anno coltivano la montagna meglio che in passato. Più pecore, più superficie coltivata, specie in estate, in alta quota. Zona di espansione di un turismo sostenibile, assolutamente in linea con i nuovi indirizzi del nuovo turismo che diversifica e destagionalizza. Per la gioia dei turisti nostri ospiti, dei trentini e dei… lupi!

Ma questa è un’altra storia di politica e di inefficienza. E siccome è triste, non ne voglio parlare in un articolo che per una volta vuole essere di ottimismo e soddisfazione.

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Prima i trentini, prima gli italiani? Senza dubbio.

Da Michele Dallapiccola 23 Novembre 2021

Ma chi farà i lavori umili in questa nostra società signorile di massa, ora che c’è crisi nel mercato del lavoro?

L’azzeccata definizione di “Società signorile di massa” è del sociologo Luca Ricolfi nel suo famosissimo best seller. Ci racconta alcune considerazioni relative all’attuale società dove il benessere ha allontanato le persone dall’accettare di svolgere anche i lavori più umili. Giusto o sbagliato non sta a me giudicare. Certo un fatto va evidenziato. 

Egoismo ed individualismo si sono sommati alla miopia di chi non voleva vedere quanto fossero importanti gli stranieri per il nostro tessuto sociale e lavorativo. Il risultato? I lavori umili in Italia non li vuole fare più nessuno. Al nostro posto lavorano o meglio lavoravano gli stranieri. E adesso?

Cos’è successo?

Le cose cominciano a non andar benissimo nemmeno in Trentino. A scatenare questa riflessione una serie di preoccupazioni, espresse dai vari rappresentanti di categoria. Sono culminate ieri in un titolo di giornale che riguarda l’appello del direttore di Confindustria Fausto Manzana. Nel pezzo, invoca l’arrivo di nuovi immigrati come forza di manovalanza a sostegno del PIL trentino.

In effetti, che i lavoratori stranieri n particolarmente dei lavori più umili, è da anni sotto gli occhi di tutti. C’è poi un’interessante studio pubblicato qualche anno fa da quotidiano L’Adige che riporto integralmente in calce ed invito tutti a leggere che riguarda proprio la situazione generale ante crisi.


Il senso del testo di Ricolfi è proprio questo: il benessere di questa nostra società ci ha portato alla condizione che quei lavori lì non li vuole fare più nessuno.

A chi non è capitato che:

  • se ho bisogno di assistenza sanitaria, chi si occupa di fare la badante?

  • se sono un agricoltore, chi mi aiuta a raccogliere le mele?
  • se sono un allevatore, chi assumo per mungere le mie vacche, se non ce la faccio da solo?
  • se sono un albergatore, chi si occuperà di rifare le camere ed aiutare in cucina?
  • se sono un artigiano edile, o ho una piccola attività con dei dipendenti, chi verrà a lavorare per me come operaio specie se mi servono mansioni di base?

E se sono un pastore che alleva alcune delle 30 mila pecore del Trentino, a chi venderò i 15mila agnelli che produciamo se non ai musulmani? Posto che sono rimasti gli unici oramai a consumare carne ovina?

I fattori di una crisi

Questo sopra è uno spaccato dell’attuale società, conosciuto da tempo. E’ marcatamente emerso a causa di uno dei tanti aspetti negativi provocati dalla pandemia.

 

La chiusura delle frontiere e la riduzione delle possibilità di transito internazionale di queste persone è stato il fattore scatenante. In misura minore purtuttavia innegabile almeno nella percezione collettiva anche il reddito di cittadinanza cosi come configurato nei suoi momenti iniziali.

Ma ce ne sono altri. Innanzitutto la difficile accettazione sociale del diverso. Con una reputazione negativa alimentata dagli spacciatori e dai delinquenti che sono presenti anche nella loro compagine. E’ pur vero che non mancano nemmeno tra i nostri connazionali ma le paure innestate sugli stranieri prendono fuoco meglio e più in fretta. E’ un dato di fatto. 

Poi c’è una cattiva gestione dei rifugiati. In minima parte poteva almeno lenire il problema. Invece specie a livello locale si è più distrutto che costruito. Pensate alla vicenda dell’accentramento alla residenza Fersina e alle successive vicende ulteriormente negative. Insomma chi ha governato il Trentino negli anni della pandemia, ha costruito un quadro desolante dove chiunque faccia impresa in Trentino e abbia bisogno di una delle fattispecie di cui sopra, si trova letteralmente in uno stato di disperazione. 

Per questo, ben si capisce che tutta la farsa del “prima gli italiani, prima i trentini” vale solo se  la società sa essere inclusiva e premiare chi si comporta bene e ha voglia di lavorare. Non è certo di fare di ogni erba un fascio scimmiottando Salvini, senza fare altro, che la gente straniera arriva a lavorare qui a sostenere la prosperità locale. 

A far così, un po’ alla volta il Trentino si è segato il ramo sul quale era seduto. 

Da L’Adige d.d. 23-10-’18

I lavoratori stranieri sono in Trentino poco più di 20 mila, le imprese con titolare straniero 3.300. Gli immigrati che lavorano come dipendenti o come autonomi producono oltre 1 miliardo 500 milioni di euro di prodotto interno lordo (Pil).

 

Da loro arrivano circa 220 milioni di euro di tasse e contributi, di cui 85 milioni di Irpef e 135 milioni di contributi previdenziali.

L’apporto degli stranieri alla ricchezza del Trentino è però in calo, in primo luogo perché sta diminuendo l’occupazione dipendente. Molti vanno via in cerca di condizioni migliori, magari in altri Paesi europei. Una parte degli immigrati ha risposto alla crisi mettendosi in proprio e avviando piccole imprese, soprattutto nell’edilizia e nel commercio (vedi a fianco). Ma ora anche quel canale è in frenata. Qualche segnale di ripresa, precaria come per tutti, arriva tuttavia dai primi mesi del 2018.

 

Il quadro aggiornato dell’impatto economico dell’immigrazione in Italia è stato fatto dalla Fondazione Leone Moressa di Mestre, partner della Cgia, il Centro studi degli artigiani, che si basa sui dati su reddito e imposte del 2016 dichiarati nel 2017. I 2,4 milioni di occupati immigrati in Italia hanno prodotto 130 miliardi di valore aggiunto, l’8,9% del Pil. Il contributo economico degli stranieri si traduce in 11,5 miliardi di contributi previdenziali, in 7,2 miliardi di Irpef versata, in oltre 570 mila imprese straniere.

 

In Trentino Alto Adige si trova l’1,8% degli occupati stranieri totali, che producono 3,3 miliardi di Pil, pari al 2,5% dei 130,9 miliardi prodotti dagli immigrati in Italia e al 9,2% del Pil regionale. In Trentino, in particolare, gli occupati stranieri sono 20.400. In base alla proporzione sul totale regionale, i lavoratori immigrati producono in provincia di Trento circa 1.550 milioni, il 9% del Pil provinciale, e versano, come detto sopra, 220 milioni di imposte e contributi.

 

Ma gli occupati stranieri, tra cui si contano 11.300 uomini e 9.200 donne, sono in calo del 5,5% sull’anno precedente. La contrazione occupazionale è confermata nel 2017 dall’andamento delle assunzioni delle imprese, rilevato dall’Agenzia del Lavoro: le chiamate di stranieri scendono del 10,6%, anche per la forte riduzione dei raccoglitori in agricoltura a seguito dei danni meteo. Risultano in calo pure i disoccupati, circa 4.000, sia perché c’è chi va via, sia perché, nota l’ultimo rapporto sull’immigrazione di Provincia e Cinformi, c’è un effetto scoraggiamento sulle donne, le più colpite dalla perdita del lavoro.

 

Qualche segnale in controtendenza si osserva nei primi cinque mesi di quest’anno, quando le assunzioni di stranieri sono ripartite col +9,3%.

23 Novembre 2021 0 Commenti
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Non solo sci. Il sentiero del San Vili da Toblino attraverso Ranzo fino a Deggia.

Da Michele Dallapiccola 22 Novembre 2021

Insieme al benedetto sold-out sulle piste da sci, alla benvenuta folla ai mercatini, in attesa che la situazione sanitaria migliori, il Trentino turistico offre numerose alternative. 

Se anche le camminate nella neve richiedono un minimo di attrezzatura, rimanendo sotto lo zero termico, anche in inverno, ospiti e locali possono praticare attività sportivo ricreativa davvero con poco. Quanto a dove, la SAT e il volontariato in senso lato sono attenti custodi di un meraviglioso sistema a disposizione di tutti. Lo curano incrociando la passione per il viaggio inteso all’antica maniera. Si tratta del nostro patrimonio sentieristico e di percorsi pedonali. Attraversano luoghi meravigliosi resi tali anche solo perchè osservati da angoli di visione alternativi. 

Un esempio: il sentiero del San Vili

Così domenica scorsa, abbiamo voluto toglierci lo sfizio di ripercorrere un tratto del sentiero detto del San Vili. Da Toblino, fino al paese di Deggia. Si tratta di una frazione isolata, collocata su un poggio che guarda il suo Comune di riferimento San Lorenzo in Banale.

Eppure un luogo che appare così incantato, si concede il lusso di offrire sede ad un paio di attività economiche e a qualche residente. 

Anche il turismo più delicato abbisogna di un minimo di infrastrutturazione: il Rocol

La ricettività che permetta un minimo ristoro è assolutamente fondamentale. Ecco perché superata la ripida salita che in un attimo mangia gli oltre 500 metri di dislivello che separano il lago di Toblino da Ranzo, trovare un punto di ristoro come il Rocol, vale quanto un autentico miraggio. E’ situato in prossimità di un punto particolarmente significativo dell’intera via. La leggenda che narra del percorso della salma di San Vigilio racconta che i suoi necrofori avessero fatto sosta proprio in questo luogo. Il valore spirituale dell’episodio, spinse i fedeli ad erigere qui una cappella votiva. 

Molto più terreno invece, il bisogno che porta a fermarsi a salutare i simpatici gestori del servizio di ristoro offerto dal Bar Rocol a Ranzo Praticamente l’unico luogo dell’intero percorso tra Nembia e le Sarche con questo tipo di servizio dove per altro è presente anche il Bar Parisi.

 

Poi via, baciati dal sole che volge ad occidente verso il paese di Deggia. 

La politica e la legge dei numeri. E’ ancora l’unico parametro che conta nello sviluppo dei vari settori dell’ospitalità?

Questi luoghi incontaminati favoriscono sport alternativi quali l’arrampicata, l’escursionismo ciclistico e quello pedonale. Pur attraversando luoghi ancora selvaggi, raccontano tuttavia di quanto sia preziosa la presenza dell’uomo per offrire punti di sosta e basi d’appoggio.

 

Un’attenta politica turistica non può prescindere dal creare le condizioni economiche affinché queste attività possano partire ma soprattutto mantenersi in adeguata soddisfazione economica. Prima fra tutte la promozione locale dei vari esercizi d’impresa. Con la valanga di milioni di euro stanziati dalla Provincia e dalle APT, nessuno deve rimanere escluso dai circuiti di promozione. Senza contare che il compito è piuttosto facile. L’infrastrutturazione realizzata e realizzanda è più che sostenibile. Rispetta appieno i moderni trend di mercato che caratterizzano ogni attività economica attualmente pianificata dalla politica. 

Respira! Non può essere solo in spiaggia, funivia o con gli sci ai piedi, non trovate? 

Ecco perché consiglio a tutti di provare a vivere questo tipo di esperienza turistica. E’ un po’ faticosa ma straordinaria per chiunque voglia rilassarsi in un luogo lontano dalla folla.

 

La fatica e l’impegno richiesti, offrono la sensazione d’aver goduto di qualcosa di esclusivo. E subito la stanchezza si trasforma in impagabile soddisfazione.

 

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PERCHÉ PER IL FUTURO DEL TRENTINO È COSI’ SIGNIFICATIVO CHE KOMPATSCHER ABBIA PARTECIPATO ALLA CONVENTION DI ITALIA VIVA?

Da Michele Dallapiccola 22 Novembre 2021

La Leopolda è un convegno politico ideato da Renzi che si svolge in un luogo che porta questo nome. 

La partecipazione del Presidente Kompatscher a questo incontro nello scorso fine settimana ha assunto toni particolarmente delicati. Potrebbe infatti influenzare in qualche maniera anche il destino politico del Trentino.

E’ noto a tutti il filo a doppia mandata che lega l’SVP altoatesina – di cui Kompatscher è il più autorevole esponente – ai suoi cugini trentini del PATT. Il nostro movimento è da sempre molto attento ad alleanze ed orientamenti politici presi a nord di Roverè della Luna.

Degli autonomisti altoatesini è bene considerare soltanto il grande orizzonte politico. La visuale corta incappa infatti in qualche acciacco ed inevitabili divergenze presenti, come è normale che sia, anche lassù. Lungi dal criticare o consigliare soluzioni politiche in casa altri, noi trentini autonomisti ci facciamo bastare le nostre di casa. 

Ma se Kompatscher arriva pubblicamente ad esporsi fino a livello nazionale è meglio aguzzare lo sguardo. Egli ha un’attenta consapevolezza delle dinamiche di opinione della sua terra. Evidentemente, percepisce che lo statalismo e la deriva nazionalista non fanno per loro. E’ dunque il ragionamento aperto ed europeista che lo spinge a prendere posizioni dure, lontane dai partiti che li rappresentano. E dentro al suo partito il supporto e l’indirizzo ampio e trasversale si palpano. 

Questo significativo passaggio potrebbe arrivare ad influenzare l’alleanza politica del suo partito anche alle elezioni nazionali del prossimo anno. 

A quel punto, al PATT, assai difficilmente potrebbe scegliere posizioni divergenti da quella linea politica. Almeno in funzione di una coerenza custodita dai suoi organi di partito. Si tratta di una logica politica che segue il proprio filo conduttore da più di 70 anni. 

E il livello politico locale entra in fibrillazione. In ottica elezioni provinciali 2023, avere o non avere il partito autonomista alleato può valere la vittoria alle elezioni. 

C’è un sillogismo tutto da verificare. 

Con la SVP e di conseguenza PATT,  lontani dalla lega, i seguaci trentini di salvini potrebbero trovarsi davanti ad un ostacolo al loro bis in Piazza Dante. Ad un coagulo moderato e centrista il PATT non può che aderire specie se questo avviene anche in Sudtirolo. Una sorta di alleanza allargata contro lo statalismo. lanciata verso l’Europa, ben salda alla tutela dell’autonomia.

Tutto da decidere, assolutamente da discutere dentro gli organi di partito.

Converrete tuttavia affascinante per alcuni, ma gravemente preoccupante per i salviniani locali.

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E se il partito autonomista diventasse anche ambientalista?

Da Michele Dallapiccola 21 Novembre 2021

Leggo con piacere che da più parti, movimenti e partiti anche nazionali ad espressione locale si fregiano dell’aggettivo “autonomista”.

Ma precisamente, qual è il significato di un aggettivo che tutti abbiamo l’impressione di conoscere?

Autonomista è colui che crede dell’autonomismo. E l’autonomismo è il fenomeno politico caratterizzato dalla rivendicazione, da parte degli abitanti di una data località, ad ottenere maggiore potere decisionale rispetto alla sovranità statale, cui comunque rimane sottoposto il territorio.

Fin qui tutto bene.

Il nostro partito aggiunge poi due ulteriori aggettivi: “trentino” e “tirolese”. Ci permettono di collocare nello spazio e nella storia il nostro agire politico: qui e da lì. Ebbene, molti partiti anche statali, oggi si definiscono autonomisti. Ma solo questo qualificativo possono prendere in prestito dal PATT. Il secondo ed il terzo aggettivo fanno parte di qualcosa di più intimo, di più definito. E’ come se utilizzati così, insieme, ci appartenessero e non potessero venire plagiati.

Lo spiego con un esempio.

Chi segue la politica trentina avrà certamente sentito la lega definirsi spesso autonomista. Che fa già ridere così essendo questa un partito per propria natura statalista!

Ve lo immaginate un leghista autonomista trentino tirolese?

Ecco, questa è la grossa differenza tra il PATT e la lega. Il vero senso di appartenenza alla nostra terra. Un senso diffuso che non può essere clonato o prestato pena lo scadere nel ridicolo. E’ comunque piacevole che l’autonomismo, del quale il PATT non pretende certo il copyright, sia diventato patrimonio comune a quasi tutti i partiti presenti in provincia.

Ovviamente quasi, perché per fortuna, Fratelli d’Italia e i suoi Meloniani, questo coraggio non lo hanno ancora avuto. Anche se qualcosa mi induce a pensare che prima o poi, la faccia tosta di dirlo, arriveranno ad averla.

Invece, abbiamo sentito parlare di un’insolita coalizione di centro destra autonomista. E Autonomisti si sono definiti anche molti partiti dall’altra parte dell’arco costituzionale. E’ una bella soddisfazione per quel PATT che durante gli oltre 70 anni dell’autonomia ne ha custodito la fiamma. Anche ora quando molti provano fa farsene luce.Gli Autonomisti continueranno il loro percorso, grazie ad un processo democratico in fieri che al loro interno li governa con il giusto dibattito.

A questo punto, in questa contaminazione di aggettivi che offrono indirizzo politico mi piace lanciare un’idea. Perché anche il nostro partito non potrebbe beneficiarne? Certo non potrebbe avvenire che dentro ad una tesi congressuale, ma chiedo soprattutto ai vecchi autonomisti, quelli che si batterono per la Samatec ad esempio, ambientalisti autonomisti ante litteram.

Ecco, tutelare l’ambiente non può che stare nel cuore di un pensiero autonomista. Accanto a chi si fregia del termine autonomista forse perché comincia finalmente a capire cosa vuol dire, il PAtt può fare il suo passo in avanti.

Aggiungere anche il termine ambientalista al suo pacchetto di aggettivi fondanti il suo programma.

Non c’è futuro senza ambiente. E senza autonomia, proteggerlo è molto più difficile.

21 Novembre 2021 0 Commenti
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CASTEL MADRUZZO. Sarebbe bello potesse appartenere alla Comunità della Valle di Laghi

Da Michele Dallapiccola 20 Novembre 2021

Lo dico perché magari conoscete qualche amministrazione pubblica che è interessata all’acquisto. 

In Valle dei Laghi, sono sicuro che sarebbero in molti ad esser contenti. Da anni c’è chi coltiva il sogno di vedere a disposizione della collettività un patrimonio meraviglioso come questo. Tra l’altro so che qualche anno fa era pure in vendita. Neanche a tanto: tre, quattro milioni di euro, o giù di li. Non so se ancora oggi.

Certo in un sito così simbolico si sarebbero potute organizzare delle visite guidate, delle cene a tema e molte attività culturali. Iniziative che tenute lì dentro avrebbero avuto ancor più valore, ora che turisticamente, la Valle dei Laghi si è collegata al Garda trentino.

Un bel castello in più, nella promozione delle attività storico culturali della Busa non ci starebbe niente male, non trovate?

Capisco le preoccupazioni di qualcuno, eh! Cioè – starete già dicendo – con tutti i problemi economici del momento, proprio in un castello, una pubblica amministrazione dovrebbe spendere qualche milione di euro? Teoricamente potreste avere ragione. 

Una scelta analoga l’affrontò anche la Provincia qualche anno fa. Dopo attenta riflessione, tirata per la giacca, su un’analoga meravigliosa opportunità, decise di operare diversamente. Non comprò ma aiutò la comunità perginese a  diventare proprietaria del proprio maniero. Operò finanziando l’attività economica di gestione. In questo modo la proprietà sarebbe rimasta locale. La Provincia anziché fare shopping immobiliare spinse affinché partisse un’attività economica.

Certo, se ora la Provincia comprasse Castel Madruzzo o Pergine, chissà quanti altri castelli privati ancora sarebbero in vendita. E si produrrebbe molta ingiustizia. Perché Madruzzo si ad esempio e Pergine no?

E poi ci sono i problemi sanitari. 

Perchè se proprio volesse dedicarsi al settore immobiliare, la pubblica amministrazione di turno, forse – dico sommessamente forse – non farebbe meglio a dedicarsi prioritariamente alle strutture sanitarie da completare? Senza contare che mancano pure i medici. Realizzando nuove Case della Salute, lì si potrebbero incontrare le professionalità. Lì, metterebbero in comune le scarse disponibilità attualmente presenti sul territorio. 

A questo punto mi è venuta in mente un’idea. Leggo sui giornali di effervescenti disponibilità d’impresa private presenti sul nostro territorio, attive in maniera molto vivace. Qualora confermate, queste potrebbero essere ottime notizie.

Si potrebbe pensare di offrire in permuta l’Ospedale di Cavalese magari attraverso una tripla “finanza di progetto”. La Provincia si troverebbe con un ulteriore castello da una parte, un bell’ospedale nuovo dall’altra con in mezzo una lodevole iniziativa immobiliare privata a finanziare tutto questo “giro d’aria” di immobili. 

Forse però sogno troppo. Corro troppo veloce con la fantasia e la Valle dei Laghi è meglio che certe idee se le faccia passare.

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Gli acciacchi di salute del Sistema sanitario provinciale.

Da Michele Dallapiccola 20 Novembre 2021

La giunta itinerante è una gran bella cosa. Almeno per chi la ospita.

Un po’ complessa da gestire, invece, per chi dovrebbe discutere – magari – un centinaio di delibere insieme a conferenze, annunci, selfie e pranzi di rappresentanza.

Ma si tratta di una scelta, legittima e comprensibile. Si predilige la parte relazionale a quella tecnico amministrativa. 

A giudicare dai risultati, gli effetti di questa modalità di gestione della cosa pubblica, diciamo così, presentano dei margini di miglioramento. Tra tutti, il più significativo, andrebbe cercato nel comparto della sanità. 

La cui gestione, trasmette un’idea poco rassicurante. Vien da chiedersi se questo stato di cose dipenda dal primo indirizzo che questa giunta diede alla sua “macchina amministrativa”, poco dopo il suo insediamento.

Ricorderemo tutti, che all’Azienda sanitaria trentina venne chiesto di risparmiare 120 milioni di euro! Come se avessero ereditato una gestione sprecona. In un comparto che manifesta continui bisogni?

Se a questa locale imposizione di risparmio, si aggiunge la generale carenza di medici, ben si comprendono le gravi lacune nei servizi locali, Ormai non si contano nemmeno più. Da Ledro alla Valsugana. Dal Tesino alla val di Sole. Fino su, alle Giudicarie.

E il PATT non può transigere. Per questo alcuni responsabili di partito stanno reagendo in questi giorni. Non è dunque casuale la seria preoccupazione che il PATT Val di Sole ha voluto rimarcare ieri.

Qui le parole del coordinatore locale Gianluca Zambelli. 

 

La cosa che più ci ha deluso è che l’assessora anziché fornire una visione che guardi il futuro, spiegando anche cosa si intende fare con il PNRR rispetto alla Casa della Salute e ai cosiddetti ‘Ospedali di Comunità’, si è limitata a indicazioni tecniche, dando come unica prospettiva l’adozione di un atto amministrativo. Siamo consapevoli che è necessario che venga nominato un direttore dell’Azienda sanitaria, poiché ad oggi la governance di Apss è retta da soli ‘facenti funzioni’, ma per quanto riguarda i servizi della Valle di Sole e le questioni aperte su tutto il nostro territorio è logico che quanto detto oggi da Segnana sia fonte di grande delusione”.

Anche il segretario Simone Marchiori, qualche giorno fa, ha voluto manifestare profonda preoccupazione in merito alle vicende dell’ospedale di Tione.

 

Da Agenzia l’Opinione.

Evidentemente, la logica leghista, quella tutta gazebo e raccolta firme, fa fatica a ingranare con la macchina amministrativa con la quale sta provando a cimentarsi ora.

Portare a casa soluzioni è tutt’altro che facile.

20 Novembre 2021 0 Commenti
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